Periscopio – Sionismo
Ho avuto il grande onore di essere coinvolto, dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, in un bellissimo progetto culturale, venendo chiamato a organizzare due corsi di studio e approfondimento sul tema del sionismo, presso le Comunità ebraiche di Firenze e di Napoli (quest’ultimo, con la collaborazione di Daniele Coppin e Nico Pirozzi). I corsi, rivolti a un pubblico vario, prevalentemente di non ebrei (altri si svolgono e si svolgeranno in diverse altre città), si prefiggono il compito di ragionare insieme sulla nascita, le ragioni, l’evoluzione storica, il significato giuridico, politico, nazionale, identitario, religioso di un fenomeno che, da studioso, al di là di ogni mia personale simpatia personale, ritengo di straordinario fascino e interesse, innanzitutto per la sua assoluta unicità. Il sionismo, piaccia o non piaccia, è qualcosa di unico, non ha equivalenti e neanche somiglianze, nella storia, con nessun altro fenomeno politico o culturale, e, chiunque voglia fermarsi a conoscerlo e comprenderlo, in modo appena un po’ meno superficiale, dovrebbe, a mio avviso, partire innanzitutto da questa constatazione, prima di esprimere giudizi sul suo valore o disvalore. Ma – e qui si palesa subito la problematicità dell’argomento – è di assoluta evidenza come tale desiderio, ossia capire cosa sia davvero il sionismo, sia condiviso esclusivamente da chi abbia, nei confronti di tale fenomeno, un atteggiamento non già di ammirazione o empatia, ma perlomeno di serenità, ossia da chi voglia conoscere per conoscere, non per magnificare o esaltare, né per condannare o disprezzare. Perché, invece, i nemici o gli antipatizzanti del sionismo – che sono poi quelli, paradossalmente, che più spesso pronunciano tale parola – non solo non hanno alcun desiderio di conoscerlo, ma hanno invece sempre, al contrario, l’assoluta necessità di non conoscerlo, di restare beatamente confinati nella propria totale ignoranza, che permette loro di continuare a parlare per slogan, raccattando qua e là qualcuno dei diecimila stereotipi maligni in circolazione, spacciandosi per esperti, fino a fare strada nella politica o nell’informazione, senza mai avere bisogno di mettere in funzione quell’organo inutile e fastidioso che si chiama cervello. E già in questo si evidenzia subito l’assoluta analogia, per non dire identità, tra antisionismo e antisemitismo, di cui il primo, com’è tristemente noto, rappresenta l’ultimo “vestito di carnevale”: entrambi sono delle fonti inesauribili di stupidità, delle sorgenti da cui l’umanità, avida e assetata, va ad abbeverarsi, per regredire sempre di più, all’indietro, sul cammino di “virtute e conoscenza”.
Ma nei corsi che andremo a fare (quello di Firenze è già felicemente iniziato), pur non potendo trascurare le tristi realtà dell’antisemitismo e dell’antisionismo – sarebbe impossibile -, non andremo certo ad assumere atteggiamenti ‘difensivi’ o posizioni di propaganda o proselitismo, ma saremo mossi unicamente dalla volontà di capire, di ragionare insieme. Personalmente, pur avendo dedicato allo studio del sionismo non poche delle mie energie, e pur avendo una certa consuetudine con lo Stato di Israele, mi considero molto ignorante in materia, e già le prime domande che abbiamo sollevato insieme, a Firenze, con i miei carissimi ‘studenti’ (alcuni amici di veccia data, e tutti ne sanno molto più di me), mi hanno confermato quante cose debba ancora imparare e comprendere. Quando nasce il sionismo? Con Theodor Herzl, o con Mosé? O, ancora prima, con Abramo? Che cosa vuol dire, oggi, essere sionista? Che rapporto c’è tra realtà ebraica, israeliana e sionista? In che misura tali differenti identità si alimentano reciprocamente, sono collegate o indipendenti, o possono entrare in conflitto l’una con l’altra? Quanto c’è di sionista nella Torah, che significa, oggi, il triangolo “popolo-terra-Torah”, mirabilmente descritto da Rosenzweig nella “Stella della Redenzione”? Qual è il significato universale del sionismo, cosa dice alle nazioni del mondo, anche quando queste mostrano di non volere ascoltare? E che significa sentirsi sionista per chi – come, per esempio, il sottoscritto – non sia né israeliano, né ebreo, né aspiri a diventarlo? Qual è, in concreto, l’idea profetica di libertà e giustizia che il sionismo intende realizzare?
Cercheremo di fare un po’ di luce su queste intricate questioni, e – se la Newsletter riterrà che le nostre osservazioni possano essere di qualche interesse per i lettori – non mancherò di comunicare, su queste pagine, la sintesi di alcune delle nostre domande e risposte.
Piccola postilla, a propositi degli ‘antipatizzanti’ (ma per amore della pace, s’intende): dopo quella conferita ad Abu Mazen, e quella annunciata a un altro simpaticone, Bilal Kayed, del FPLP, si accettano scommesse su chi sarà il successivo destinatario della cittadinanza onoraria di Napoli; anche se pare, però, che l’onorificenza, in via di inflazione, sia ormai un po’ snobbata dai guerriglieri.
Francesco Lucrezi
(10 agosto 2016)