intimità…

Se guardiamo al contesto storico e sociale degli anni prima di quei fatidici 9 di Av nei quali per ben due volte fu distrutto il Tempio di Gerusalemme ad opera dei Babilonesi prima e dei Romani poi, dobbiamo affrontare la realtà di un popolo ebraico dilaniato da conflitti politici, religiosi e sociali. Un popolo ebraico dove palpabile era la distanza tra le persone, la tensione fratricida, la costante diffidenza come elemento di relazione quotidiana. Il digiuno del 9 Av è forse la migliore occasione per una riflessione sulle relazioni umane nelle nostre comunità e società ebraiche in nome di un vero recupero di una sana intimità ebraica così rarefatta dalla sovraesposizione mediatica, politica e sociale alla quale ci esponiamo e siamo esposti. Una intimità che fino ad una generazione fa era patrimonio identitario e identificativo di molti ebrei nel mondo, anche in Italia. È nei primi capitoli de “Il giardino dei Finzi Contini” che troviamo una meravigliosa descrizione di una intimità ebraica che era al contempo relazione tra persone e relazione ebraica con se stessi: “Per quanto concerne me personalmente, nei miei rapporti con Alberto e Micol c’era sempre stato qualcosa di più intimo. Le occhiate di intesa, i cenni confidenziali che fratello e sorella mi indirizzavano ogniqualvolta ci incontravamo nei pressi del Guarini non alludevano che a questo, lo sapevo bene, riguardante noi e soltanto noi. Qualcosa di più intimo. Che cosa propriamente? Si capisce: in primo luogo eravamo ebrei e ciò era più che sufficiente. […]”. Il 9 di Av probabilmente viene a ricordarci che essere ebrei è un dato più che sufficiente per riconoscere il rispetto necessario all’interno delle nostre comunità, un valore che è religioso per chi crede nella necessità della ricostruzione del terzo Tempio, così come un laico modus vivendi di una ebraicità naturale e quotidiana come ci insegna Giorgio Bassani.

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino

(12 agosto 2016)