Da Israele all’Afghanistan, in rete per salvare una piccola vita
Non si erano mai incontrati, ma erano amici su Facebook. Connessi attraverso migliaia di chilometri grazie al social network. Insieme, un giovane insegnante di inglese di Jalalabad, in Afghanistan, e un pensionato, ex funzionario del Dipartimento di Stato di Haifa, in Israele, hanno collaborato per salvare un bambino in Pakistan con problemi cardiaci congeniti e potenzialmente letali.
Yehia, ora di 14 mesi di età, era nato con le due arterie principali invertite, racconta il New York Times, e due fori nel cuore. I suoi genitori, afghani che abitano a Peshawar, in Pakistan, hanno trovato uno specialista locale che poteva eseguire l’intervento chirurgico necessario, ma il prezzo per l’operazione era di 7.000 dollari. Troppo per la famiglia. E così è nata una rete che dal Pakistan ha portato il piccolo paziente fino a Holon, dove uno staff di medici israeliani l’ha operato per otto ore, riuscendo a salvargli la vita.
Fondamentale in questa vicenda, il ruolo dei social network: la famiglia di Yehia, tornata in Afghanistan per un periodo, aveva chiesto a un parente, Farhad Zaheer, insegnante a Jalalabad con la padronanza dell’inglese e molto attivo sui social, una mano per salvare il piccolo. Farhad si è subito messo alla ricerca di una soluzione, contattando un’amica su Facebook, Anna Mussman, 69 enne, israeloamericana conosciuta nel Nouristan durante un progetto di cooperazione internazionale dedicato agli insegnanti. La signora Mussman, figlia di sopravvissuti alla Shoah e nata in un campo profughi n Germania, “nel giro di poche ore – racconta il New York Times – ha contattato Simon Fisher, direttore esecutivo di Save a Child’s Heart,, un ente di beneficenza israeliana di cui aveva sentito parlare una volta sulla CNN. Il gruppo prevede interventi chirurgici gratuiti per bambini provenienti da paesi in via di sviluppo”. “Mi rendo conto che aiutare un bambino di un paese con cui Israele non ha relazioni diplomatiche non sia facile, ma forse è possibile,” le parole scritte da Mussman Fisher in una mail. “Grazie mille e Shabbat Shalom”. E così Yehia è diventato il primo afgano ad essere curato in Israele.
(Foto di Uriel Sinai per il New York Times)