Bambi Sheleg (1958-2016)

Anna-Segre1La questione femminile nel mondo ebraico e nell’Israele di oggi è così rilevante da poter essere definita un vero e proprio conflitto di civiltà. L’uguaglianza della donna è una di quelle istanze di cui gli ebrei hanno il dovere di farsi portavoce di fronte al mondo intero, come spesso è accaduto nel passato per altri valori ebraici. Serve una nuova meta-halakhah, cioè occorre riconsiderare i processi stessi di formazione dell’halakhah, che finora sono stati appannaggio quasi esclusivo degli uomini.
Affermazioni forti, originali e talvolta provocatorie quelle che Bambi Sheleg, aveva portato nel 2012 al Moked primaverile di Milano Marittima dal titolo “Protagoniste o comparse? Il ruolo della donna nel mondo ebraico di oggi”. Affermazioni che a quattro anni di distanza suonano ancora attuali, e non meno provocatorie. Oggi nella mia memoria gli appunti che avevo preso durante la sua conferenza “ufficiale” si mescolano con i ricordi di numerose conversazioni private e un mio tentativo di intervista che si era trasformato, su proposta di Bambi Sheleg, in una piacevole passeggiata in riva al mare. L’avevo poi incontrata per un caffè qualche mese dopo a Gerusalemme. Nonostante la clamorosa differenza di ritmi che si può immaginare, soprattutto di venerdì mattina, tra una persona che lavora (madre di famiglia e osservante) e una turista che ha già lo Shabbat organizzato, era riuscita di nuovo a trovare il tempo per una chiacchierata e uno scambio di informazioni sui giornali da noi rispettivamente diretti (Ha Keillah, di cui le avevo portato il numero in cui parlavo di lei, e il suo ben più noto Eretz Acheret); alla mia definizione di Ha Keillah come giornale “di sinistra” aveva risposto che secondo lei le distinzioni destra-sinistra non sono più significative: un’idea che generalmente non condivido ma che diventa comprensibile se la intendiamo come un invito a non chiudersi di fronte al confronto e al dialogo, esigenza pienamente giustificata soprattutto nel contesto della società israeliana, composta di gruppi chiusi che troppo spesso non si conoscono tra loro e raramente si parlano. Era proprio questo il problema fondamentale che aveva spinto Bambi Sheleg a fondare Eretz Acheret. Come aveva detto al Moked di Milano Marittima, il dialogo tra le diverse componenti del popolo ebraico è difficile anche perché i mass media danno spazio agli estremisti di ciascun settore (più adatti ad attirare l’attenzione di lettori e spettatori) anziché alle voci più disponibili al confronto, che sono in realtà la maggioranza e sono spesso più vicine tra loro di quanto ciascuna sia vicina agli estremisti della propria parte; per spiegare l’idea aveva disegnato un cerchio diviso in spicchi e mostrato due punti vicini al centro in due spicchi diversi – le persone disponibili al dialogo – e altri due punti situati sulla circonferenza – gli estremisti.
E in effetti la nostra stessa intesa, e la naturalezza con cui ci siamo trovate immediatamente d’accordo su moltissimi temi pur avendo background in apparenza molto distanti (il primo giornale di cui sono stata redattrice era Beiachad, organo dell’Hashomer Hatzair di Torino, Bambi Sheleg aveva iniziato la sua carriera giornalistica con Nekuda, giornale dei coloni di Giudea e Samaria) le danno pienamente ragione: oggi più che mai il suo invito al confronto al dialogo deve essere raccolto e portato avanti.
Che il suo ricordo sia di benedizione.

Anna Segre

(19 agosto 2016)