Confronto aperto
nella tradizione

Schermata 2016-08-22 alle 10.51.37Le recenti elezioni dell’UCEI, come pure quelle della CER che le hanno anticipate, hanno evidenziato l’esistenza di schieramenti ben definiti all’interno del mondo ebraico italiano e allo tempo stesso, però, un’esigenza condivisa di superare la contrapposizione a favore di un’ipotesi polifonica capace di valorizzare le differenze nell’ambito di un progetto pur faticosamente condiviso.
Vanno in questa direzione tutte le iniziative che animano la scena culturale e educativa dell’ebraismo italiano – dalla Giornata della Cultura a Jewish in the City, dal MEIS al Museo della Shoah, per citare soltanto le più visibili – e che mettono sistematicamente a confronto modi anche molto dissimili di intendere la quotidianità ebraica, ciascuna delle quali vissuta però dai protagonisti come legittima ramificazione del grande albero della tradizione giudaica italiana.
Fra queste iniziative i “campeggi” del DAC, poi del DEC e oggi dell’Area Educazione e Cultura dell’UCEI occupano un posto di primo piano soprattutto per il servizio di socializzazione e di quotidianità ebraica offerto in particolare alle piccole Comunità, che per ovvii motivi ne avvertono particolarmente la carenza nelle rispettive sedi.
Quello appena concluso ad Alba di Canazei è stato caratterizzato dalla presenza di ben cinque Rabbanim: Roberto Della Rocca, Elia Enrico Richetti, Alberto Somekh, Gianfranco Di Segni e Levi Hazan, che hanno illuminato testi e aspetti diversi della tradizione ebraica attraverso letture e conversazioni quotidiane che, unite alle Tefillot mattutine e serali, hanno conferito al soggiorno montano un’atmosfera intensamente spirituale. Il panorama umano era arricchito ulteriormente dalla presenza, accanto al folto gruppo italiano, di famiglie ebraiche provenienti da varie parti del mondo, portatrici anch’esse di costumi e pensieri diversi e complementari.
L’impegno intellettuale e religioso non ha impedito che, con pratica tipicamente ebraica, si riconducessero le lezioni provenienti dal nostro antico passato alla realtà contemporanea, cui sono state dedicate tre intense serate di approfondimento incentrate rispettivamente sull’attuale congiuntura europea, sullo stato in cui versa l’elaborazione della memoria nel nostro paese e sul destino dell’ebraismo italiano, che hanno visto una presenza ampia e partecipe dei villeggianti.
Ma non di solo studio e discussione ha vissuto questa vacanza: la collocazione del “My kosher hotel” ai piedi dei complessi montuosi più suggestivi delle Dolomiti e i suoi ottimi servizi hanno reso piacevole la permanenza, in particolare per i bambini che godevano di una grande terrazza attrezzata all’interno della struttura e di un bel parco-giochi immediatamente all’esterno.
Non meno ricco il programma ricreativo per gli adulti, per i quali è stata organizzata quotidianamente una passeggiata fra le “montagne incantate” circostanti.
La regia di Rav Roberto Della Rocca e il generoso e competente coordinamento di Claudia Jonas hanno garantito un perfetto funzionamento del soggiorno, confermando il ruolo strategico di questo appuntamento semestrale – c’è sempre anche il campeggio invernale – come momento di confronto e condivisione, nella prospettiva di una declinazione sempre più ricca e articolata del Minhag italiano, da tutti considerato orgogliosamente un’espressione originale e antichissima dell’ebraismo internazionale, che è destinato a evolversi e ad approfondirsi senza perdere però la sua specificità davvero unica.
Non poteva mancare, in questo contesto plurale, un riferimento al “convitato di pietra” rappresentato dai gruppi riformati sorti negli ultimi anni. Ferma restando una molteplicità di giudizi sull’atteggiamento da assumere, si è convenuto sul fatto che all’origine del fenomeno, peraltro al momento assai contenuto, non vi è una motivazione spirituale e religiosa, ma la difficoltà di accedere alle nostre Comunità per alcuni ebrei (o aspiranti tali) variamente irregolari sotto il profilo halakhico.

Luca Zevi

(22 agosto 2016)