Ventotene e l’eredità di Colorni
Torna d’attualità il messaggio di Eugenio Colorni, tra gli autori del celebre Manifesto di Ventotene. Un grande personaggio del Novecento, più volte evocato in queste ore, nella giornata dell’importante vertice italo-franco-tedesco in svolgimento sull’isola in cui nacque l’Europa e in cui oggi ci si confronta per elaborare nuove strategie e nuovi impegni comuni.
Le idee di Colorni, sempre attuali, avevano anche segnato fortemente l’avventura del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche il cui primo numero, nel novembre del 2009, apriva le pagine culturali proprio con un ritratto dell’intellettuale e antifascista milanese, ucciso appena 35enne per mano di un gruppo di militi fascisti.
Dai primi anni Trenta Eugenio Colorni diventa un «ebreo suo malgrado». Nel senso che tale «appartenenza» gli verrà imputata dall’esterno, come una colpa, in almeno due circostanze. La prima coinvolge colui che fino a quel momento era stato uno dei suoi migliori amici, lo scrittore Guido Piovene. Questi, a partire dal 1° giugno del ‘31, cominciò a pubblicare sull’Ambrosiano una rubrica quotidiana intitolata “Biglietto del mattino”, con una cinquantina di rapide puntate. Piovene immaginava di scrivere dei messaggi a un’ipotetica signora ebrea, Edvige Salomon di Amburgo (che ha «l’enfasi patetica della sua razza»), informandola sarcasticamente sugli amici, sugli ambienti milanesi da lui frequentati, sulle proprie avventure e disavventure, vere o fasulle. Il tutto a comporre un vivace feuilletton, non sempre felice nello stile, ma curioso, e soprattutto malizioso. Perché, come sempre, Piovene traeva ispirazione da realtà a lui ben conosciute, alterando solo qualche dettaglio per fuorviare gli ignari lettori. Ma non le persone interessate, come Eugenio Colorni.
Si legga il primo di questi Biglietti del mattino. Lo scrittore immaginava di incontrare in una biblioteca tal «Franz» (alias Colorni), conoscente della signora Salomon. Con sorpresa, lo trovava «vestito, in quel luogo, d’una casacca turchina e di calzoni color kaki, come usano i vostri uomini quando si mettono in viaggio».
«Franz» spiega che non ha il denaro per comprarsi un altro vestito, e non vuole chiedere aiuto al pur ricco padre, perché non ritiene lecito vivere di rendita. (…) Era il rigore morale di «Franz» a irritare Piovene.
«Io credo che quest’ambizione di scegliere la religione, la patria, la condizione sociale, e di ricominciare faticosamente il mondo in noi, e di patire e di spremere la nostra partecipazione ai nostri atti, paia eroica soltanto per una finzione dell’egoismo e della pigrizia». Le allusioni erano trasparenti. (…) La seconda circostanza è strettamente legata alla campagna antisemita, iniziata in Italia nei primi mesi del 1938. L’8 settembre Colorni veniva arrestato, dopo mesi che l’Ovra era sulle sue tracce, in seguito alle confidenze di due delatori mai identificati, uno a Parigi e uno a Trieste. (…) Solo il 17 ottobre, però, la notizia del suo arresto (assieme a quella dell’ebreo Dino Philipson, a Firenze) veniva data dai quotidiani, cui era giunta una velina del Minculpop, che recitava: «I giornali commentino il comunicato Stefani sull’arresto del prof. Colorni ponendo in rilievo che le attività svolte da lui e dagli altri rimontano ad un periodo antecedente a quello nel quale fu agitato in Italia il problema della razza. Il Colorni e gli altri non meritano quindi alcuna pietà».
Già nel pomeriggio del 17 ottobre, L’Ambrosiano pubblicava la notizia, seguita da un corsivo che trasudava odio:
Gli annali dell’ebraismo possono dirsi ricchi di casi come il presente. Gli ebrei, fatte poche eccezioni, sono sempre stati o indifferenti o nemici del Fascismo. E questo stato d’animo derivava loro dall’essere senza patria e senza una dottrina. Il Regime è stato sempre longanime, e infatti non ha colpito che i casi estremi di ebraismo antifascista. Ora, l’attività contro il Fascismo di questi gruppi di ebrei, si può dire ch’è nata con il Fascismo. Quanto al giudeo Colorni, specificamente, si sa che agiva contro l’Italia già da parecchio tempo. È giunta l’ora della punizione. (…)
L’indomani, 18 ottobre 1938, i giornali si scatenavano con articoli violenti e grossi titoli in sintonia con le direttive ricevute: Agli imbecilli (Farinacci su Il Regime Fascista); La doppia vita del professor Colorni (Il Piccolo di Trieste); Ebrei antifascisti arrestati e deferiti al Tribunale Speciale (Il Popolo d’Italia); La trama giudaico-antifascista stroncata dalla vigile azione del- la polizia (Corriere della Sera). (…)
Una volta stabilita la linea di condotta, si era deciso di ren- dere di pubblico dominio l’evento, evidentemente per alime tare la campagna antiebraica, ormai entrata nel vivo.
Poco importava che il distacco di Colorni dall’ebraismo e dal sionismo fosse a tutta prova. È vero che molte persone della sua cerchia erano ebrei (anche se per lo più «laicizzanti» come lui) e che nel censimento del 22 agosto 1938 egli figurava ancora iscritto alla Comunità israelitica di Trieste.
Ma il problema ebraico era ormai completamente assente dalle sue riflessioni. Eppure, in quei giorni, questo diventava un particolare irrilevante, poiché faceva comodo al regime mettere in piazza l’ovvia equazione: ebreo, per di più ricco, uguale antifascista. Laddove lui certamente avrebbe preferito essere considerato più una vittima dell’illiberalismo fascista che non delle leggi razziali.
Il «veleno» di «una fede feroce», per dirla con Montale, obbligava dunque Colorni a diventare un «ebreo suo malgrado». (…) Un destino all’epoca inevitabile, co- me sanno tutti coloro che durante la «persecuzione dei diritti», e ancor più durante la «persecuzione delle vite» (dopo l’8 settembre), sperimentarono sulla propria pelle il brusco richiamo ad ascendenze coscientemente rimosse.
Oggi Eugenio riposa nella tomba di famiglia, al Cimitero israelitico di Milano, a destra rispetto all’ingresso principale del «Monumentale», accanto a tutti i suoi cari: questo, sì, l’avrebbe desiderato, ma non di morire a soli trentacinque anni.
Sandro Gerbi, Pagine Ebraiche
(22 agosto 2016)