Periscopio
Costruire il tempo
Come tanti altri ammiratori di Jonathan Safran Foer, sono anch’io ansioso di leggere il suo nuovo romanzo, atteso in Italia per la fine di agosto, dal titolo (che riproduce la risposta di Abramo alla chiamata del Signore) “Eccomi!”, che giunge a undici anni di distanza dallo straordinario “Molto forte, incredibilmente vicino”. Ho letto con grande interesse il servizio di presentazione del libro apparso sul numero di agosto della versione cartacea di Pagine Ebraiche, e mi ha colpito una frase dello scrittore riportata nel pezzo, a proposito del suo rapporto con la religione: “Sono interessato al tipo di religione che rende la vita difficile, anziché a quella che conforta. Una religione che mi obbliga a pormi domande difficili: Chi sono davvero? Sono la persona che volevo essere?”. Da non credente, mi trovo in grande sintonia con tale concezione. Non capisco molto della vita, non ho alcuna religione o ideologia che mi aiuti a sbrogliarne il significato, ma ci sono due tipi di approccio alla vita che non mi soddisfano, e dai quali, pur rispettandoli, rifuggo: il nichilismo, secondo cui l’esistenza non avrebbe nessun significato, e non varrebbe la pena affannarsi a cercarlo, e il semplice atto di fede, secondo cui basterebbe la semplice adesione a una verità costruita ed elaborata da altri a dare senso e placare l’inquietudine. Credo che anche chi abbia una religione sia chiamato, in qualche modo, a costruirla, a ricrearla con la propria ragione e il proprio sentimento, in un processo che non può essere semplice né breve, in quanto la nostra posizione e funzione nel creato è qualcosa di complesso e mutevole, e il rapporto tra l’uomo e la natura non si presta a essere sintetizzato in alcuna formula semplificante.
La considerazione dello scrittore ha contribuito a farmi capire il grande fascino che sta esercitando su di me la lettura del trattato Rosh haShanà (capodanno), primo volume della grande traduzione in italiano del Talmud Babilonese, di cui ho già avuto modo di parlare su queste colonne. È davvero straordinario vedere come tante generazioni di saggi si siano impegnate, nei secoli passati, a costruire un mirabile e perfetto calendario, elaborando una “teologia del tempo” nella quale le azioni umane sono collocate secondo un disegno dettato non solo dal movimento degli astri, ma anche dall’umana intelligenza e volontà. Spiega Rav Riccardo Shemuel Di Segni, curatore del volume, che i Maestri, pur essendo perfettamente in grado indicare delle regole automatiche per la scansione del tempo, scelsero volutamente di conservare l’antica usanza secondo cui l’annuncio del nuovo anno doveva essere proclamato dalle autorità rabbiniche, sulla base delle testimonianze oculari relative all’avvistamento della nuova luna, e ciò per sottolineare il ruolo dell’uomo in una questione tanto importante e complessa, quale la definizione del tempo. Una scelta – certo non semplificante – che non ha riscontri nelle altre civiltà antiche, che hanno preferito che a scandire il tempo fosse solo la natura, con i moti del sole e della luna; il popolo ebraico, invece, ha voluto che l’uomo svolgesse un ruolo non di semplice osservatore della natura, ma anche di attore e protagonista nella definizione dei suoi ritmi, arrivando a distinguersi, come osservato da A.J. Heschel, come “inventore del tempo”, e dando un contenuto e un significato a quella cosa che, come disse Sant’Agostino, tutti sanno cosa sia, a condizione che non siano chiamati a spiegarla. “I saggi ebrei – scrive Rav Roberto Della Rocca, nel suo libro ‘Con lo sguardo alla luna’, di cui pure ho avuto modo di parlare – sembrano giocare a proprio piacimento con il tempo, espandendolo e contraendolo come una fisarmonica”. Come lo hanno fatto loro, possiamo anche noi provare a fare qualcosa di simile, cercando non solo di vivere il nostro tempo, ma anche di costruirlo, dettando le nostre regole, e dando ad esso un nostro particolare significato, da noi pensato ed elaborato. E, per chi sia interessato a un percorso del genere, le antiche discussioni rabbiniche, riportate nel trattato Rosh haShanà, affascinanti proprio in quanto difficili e complicate, possono risultare un prezioso stimolo e una base di partenza, di imprevedibile attualità.
Francesco Lucrezi
(24 agosto 2016)