sciacallo…
Povero sciacallo. Povero animale. Accostato in questi tempi di terribile dolore a chi entra nelle case distrutte dal sisma per rubare quel poco valore che ancora vi resta e quelle scintille di vita e di ricordi di chi è sopravvissuto alla tragedia, calpestando ogni moralità. Povero sciacallo con il cui nome offendiamo i tanti che ci hanno deliziato con slogan politicamente razzisti e profittando delle necessarie tendopoli lamentano la ridicola realtà di: “Italiani nelle tende ed immigrati negli alberghi!”.
Povero sciacallo che è diventato strumento di offesa per tutti i sismografi esperti che erano nascosti sotto le mentite spoglie di altri mestieri e che oggi ci assicurano che il terremoto si poteva evitare, che tutti sapevano che sarebbe arrivato e che anzi le grandi multinazionali russoamericanegiudaicocinesibancamondialistepitagorianecartesianti non hanno voluto fermare per ovvie ragioni di lucro.
Povero sciacallo la cui immagine è accostata ai novelli savonarola che, ordinati in sante milizie, tuonano in maniera depravata anatemi affermando che il terremoto è la punizione all’Italia per aver permesso le unioni civili.
Povero sciacallo. Quante parole inutili lì dove, di fronte al dolore, il silenzio sarebbe la forma più alta di rispetto e l’aiuto quella di vicinanza e sostegno. E se proprio dobbiamo usare l’esempio dello sciacallo, rileggiamo il profeta Michea al capitolo 1,8: “Per questo io piangerò e griderò, andrò scalzo e nudo; alzerò lamenti come lo sciacallo, grida lugubri come lo struzzo.”
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
(26 agosto 2016)