Giulio Busi: “Cultura, arma contro il pregiudizio”

Schermata 2016-08-29 alle 10.54.07Giulio Busi è tra i maggiori esperti e divulgatori di cultura ebraica in Italia. Ha insegnato per anni all’Università Ca’ Foscari di Venezia, e attualmente è professore alla Freie Unirsitaet di Berlino, dove dirige l’Istituto di Giudaistica. Ha pubblicato diversi libri di argomento ebraico, in particolare il suo interesse è rivolto alla mistica ebraica. Sul Sole 24 Ore tiene una seguitissima rubrica di “Judaica”.
Sarà tra i principali ospiti della prossima Giornata Europea della Cultura Ebraica, prima a Roma, in dialogo con il rabbino capo della città rav Riccardo Di Segni, e poi a Milano, città capofila dell’edizione di quest’anno, dove si confronterà con rav Roberto Della Rocca, direttore dell’area Cultura
e formazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, e Sara Ferrari, traduttrice e docente di Lingua e cultura ebraica all’Università degli Studi di Milano, sul tema “Le parole ebraiche nell’arte, nella letteratura e nella Bibbia”.

Professor Busi, le parole, in particolare le parole scritte, hanno una fondamentale importanza per il Popoloebraico. Che valenza ha questo aspetto peculiare dell’ebraismo?
Nella cultura ebraica questa ipertrofia della dimensione scritta salta agli occhi: anche se in tutte le culture letterate la lingua è uno degli elementi distintivi, il giudaismo ha la lingua e il testo quale elemento fondativo e di continuità. Un testo dal quale si irradia tutto il resto, un racconto scritto che è al centro di un’intera cultura. E che si può portare con sé nella diaspora, imparare a memoria, trasmettere di generazione in generazione.

In occasione della Giornata lei interverrà sia a Milano, città capofila, che a Roma, in conversazione con il rav Riccardo Di Segni. Ci può anticipare qualcosa?
A Roma vorrei focalizzare la mia attenzione in particolare sul Sefer Yetzirà, che è un libro mistico, una sorta di sistema per la conoscenza del cosmo, al contempo preciso e stringato come un testo scientifico.
Potremmo definirlo un testo a metà tra poesia e scienza. Un mondo a sé, molto enigmatico, una vera e propria finestra sull’universo. A Milano, pensavo di parlare della ricerca sul simbolismo nel pensiero ebraico, partendo da un libro che ho scritto qualche anno fa (Simboli del pensiero ebraico. Lessico ragionato in settanta voci. Einaudi, 1999 ndr). Visto che nella tradizione ebraica, com’è noto, c’è poca raffigurazione visiva, si è verificato un grande sviluppo dell’iconicità delle parole, con termini di
riferimento che vengono visualizzati, ripetuti, e che fanno da leit motiv. Ho cercato di seguire lo sviluppo di questo fenomeno dalla Torah fino all’800, alla tradizione chassidica polacca, per vedere come queste parole diventano punti di riferimento, e come variano nel tempo e nei diversi contesti.

L’ebraico è, ovviamente per gli ebrei, la lingua sacra: come possiamo spiegare questo concetto a qualcuno che sa poco o nulla di cultura ebraica?
L’ebraico è la lingua della creazione, è la lingua in cui le parole e le cose combaciano. Ha uno statuto di potenza e separatezza che è caratteristico del divino.

Parliamo della Giornata, giunta alla diciassettesima edizione, una manifestazione che ha fatto un po’ da
apripista ai tanti festival culturali ebraici che si sono tenuti in questi anni. Ogni anno decine di migliaia di persone continuano ad affollare sinagoghe, musei e luoghi ebraici in tutta Italia, dove si realizza una delle edizioni più riuscite d’Europa. Cosa pensa di questo interesse così diffuso, nel nostro Paese, per l’ebraismo? Cosa attrae tante persone?

L’Italia è un posto strano! Quantomeno, così appare da Berlino… Io credo che l’interesse per la cultura ebraica in Italia nasca dalla consapevolezza che gli ebrei sono parte integrante della storia del Paese. Non si può fare la storia di Ferrara, di Venezia o di tanti altri posti escludendo la presenza ebraica. Una condizione, quella degli ebrei italiani, che non è stata idilliaca nei secoli, ma che non ha le fratture tragiche che hanno altre storie, almeno fino alla seconda guerra mondiale. Se pensiamo all’Inghilterra, nella sua storia ci sono molti secoli senza ebrei, perché furono espulsi a più riprese. In Francia idem. Invece l’Italia ha duemila anni di continuità ebraica, tranne che nel Meridione, ma anche quello fu un fenomeno generato dagli spagnoli, per così dire non autoctono. La continuità ebraica italiana è molto peculiare, fa profondamente parte dell’identità del Paese. Gli italiani percepiscono che quella degli ebrei è anche la loro storia.

Secondo lei, manifestazioni come la Giornata sono utili per contrastare il pregiudizio antiebraico?
Certamente sì, credo siano importanti ed estremamente utili allo scopo.

Marco Di Porto