Freud, l’Esperanto
e la rinascita dell’Ebraico
Un canto vuol dire riempire una brocca, anzi, meglio, rompere la brocca. Romperla in pezzi. Nel linguaggio della Qabbalah potremmo forse chiamarlo: Vasi infranti. (H. Leivick)
1897. È un anno particolarmente denso di significati per la recente storia dell’ebraismo. A Basilea, Theodor Herzl riunisce il primo congresso del movimento sionista. A Est, si riunisce il primo congresso del Bund, la prima organizzazione socialista nell’impero zarista. Nello stesso anno Sigmund Freud elabora la teoria dell’Edipo. Sullo sfondo del lutto per la perdita del padre, e in risposta all’antisemitismo, Freud aderisce al movimento internazionale dei B’nai B’rith.
L’atto di nascita del progetto di Ben Yehuda, è un articolo del 1878 in cui si faceva appello agli ebrei di parlare solo in ebraico. L’atto di nascita dell’esperanto, è del 1887. Non è un caso che la denominazione sia la stessa dell’inno nazionale ebraico, l’Hatikvah (speranza).
Dieci anni dopo nascevano il movimento sionista e il movimento bundista. Fratelli gemelli e speculari, bundisti e sionisti si combatterono anche per la scelta linguistica (lo yiddish contro l’ebraico), sino a quando le loro differenze non furono rese “risibili” da un mondo folle oltre ogni immaginazione.
Se lo yiddish era il gergo materno di undici milioni d’ebrei, da cui aveva preso origine una letteratura e poesia moderne, l’ebraico era la loro radice più antica, il nucleo attorno a cui era stata conservata e sviluppata l’esistenza religiosa attorno alla sinagoga nel corso dei secoli. L’ebraico era la lingua di tutti gli ebrei, sotto ogni cielo e in ogni tempo, da cui sarebbe nata in poche generazioni una delle letterature più ricche e vitali del mondo.
David Meghnagi, Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
(30 agosto 2016)