Il lavoro della guide, una risposta alla volta
Cosa cerca un visitatore in un museo ebraico o in una sinagoga? Quali sono le curiosità e le domande del pubblico ebraico e di quello non ebraico? E quale grado di consapevolezza ha un cittadino italiano della presenza ebraica nel Bel Paese? Sono alcune delle domande che Pagine Ebraiche ha posto a chi vive e lavora quotidianamente a stretto contatto con il pubblico e si confronta ogni giorno proprio su questi temi: le guide che per professione e passione lavorano da Roma a Torino, da Firenze a Venezia, raccontando a decine di migliaia di turisti l’anno la storia delle diverse realtà ebraiche italiane e le loro peculiarità. “In pochi sanno che la Comunità ebraica romana è la più antica della Diaspora con la sua presenza che risale al 161 e.v. – spiega Sara Pavoncello, guida del Museo ebraico di Roma da sei anni (nell’immagine a sinistra assieme a Walter Kohn, premio Nobel per la chimica nel 1998, ebreo austriaco sopravvissuto alla Shoah grazie all’operazione Kindertransport) – Il fatto che sia così antica stupisce sia il pubblico italiano sia quello internazionale, che a Roma è molto presente”. Il museo ebraico della Capitale attira infatti migliaia di turisti, molti americani e israeliani, così come accade a Firenze per il Tempio maggiore e museo. “Dal 2002 – racconta Matteo Comincini (al sinistra), cui è affidato il coordinamento delle guide di Coopculture per quanto riguarda le visite alla Firenze ebraica – il numero dei visitatori è in constante crescita. Questo nonostante attentati e momenti di tensione”. Una crescita di interesse che tocca anche altre aree geografiche dell’Italia ebraica, come il Piemonte e Torino nello specifico. “Da quando ho iniziato a fare il volontario – racconta Baruch Lampronti (immagine in basso), architetto, iscritto alla Comunità ebraica torinese e da tempo coinvolto nelle attività culturali di quest’ultima – sono passati 10 anni. All’inizio avevamo per lo più scolaresche e pochi adulti. Poi progressivamente sono arrivati anche gruppi organizzati di adulti, ad esempio legati ad altre confessioni religiose, curiosi di conoscere l’impronta ebraica sulla città e avere nozioni generali sull’ebraismo”. Tutti e tre spiegano come inevitabilmente le guide siano modulate rispetto al pubblico: con i più piccoli si cerca di raccontare in modo semplice e diretto gli elementi cardine dell’ebraismo, con gli adulti si approfondiscono invece tematiche diverse su aspetti di vita come ad esempio lo Shabbat: “molti mi chiedono – racconta Baruch – come facciamo noi ebrei a coniugare il rispetto del sabato con i ritmi di oggi o altre domande simili. Io sono abituato a spiegare queste cose perché sin da piccolo, visto che il mio nome non lascia spazio a dubbi, le persone incuriosite mi chiedevano informazioni”. E tanta la curiosità del pubblico non ebraico, che si pre senta sempre ben disposto anche quando porta con sé alcuni pregiudizi dovuti al retaggio culturale: “Ti capita di sentire affermazioni al limite dell’antisemitismo ma il percorso all’interno del museo e della sinagoga serve anche a rompere questi pregiudizi”, sottolinea Sara. Tra il pubblico, anche visitatori dai Paesi musulmani: “abbiamo avuto diverse persone dalla Turchia, dal Libano, dall’Egitto, qualcuno dall’Arabia Saudita – afferma Matteo – Tra altro ora nelle classi fiorentine ci sono bambini musulmani che vengono in visita e in genere danno l’impressione di avere più consapevolezza della cultura ebraica dei coetanei”. Diverso invece l’approccio con il pubblico ebraico. Tutti sottolineano come gli israeliani siano inizialmente più indisciplinati rispetto agli altri: “il loro approccio, comprensibile, è sono ebreo e la sinagoga è casa mia”. “Sono dei caciaroni – conferma Sara – quando arrivano loro c’è sempre un po’ di balagan (confusione) ma sono molto divertenti”. Le loro domande (come quelle degli ebrei americani), spiega Baruch, si concentrano molto sul rapporto tra comunità come minoranza e società esterna, sul significato culturale dei ghetti, le differenze tra le sinagoghe pre e post emancipazione come quelle di Roma, Firenze e Torino. “Vogliono sapere come vive la Comunità”, sottolinea Baruch. Molti, aggiungono sia Sara che Matteo, sono interessati a sapere a quale corrente appartenga l’ebraismo italiano (se ortodosso, conservative o reform). “Il fatto di trovarsi una guida ebrea poi pone la visita in una dimensione diversa, di condivisione di un passato collettivo”, aggiunge Baruch mentre da Firenze Matteo sottolinea come “L’essere cristiano non è assolutamente un problema anzi da parte ebraica c’è una sensazione positiva di costruzione di ponti con altre culture”
Dossier Musei, Pagine Ebraiche Settembre 2016
(1 settembre 2016)