La nuova cultura è un luogo di incontro
Ambasciatori di cultura, luoghi di formazione, apertura e incontro, i musei ebraici hanno un ruolo sempre più importante in una società che si confronta con le minoranze con fatica sempre maggiore. Non più contenitori di oggetti pur preziosi e ricchi di storia, i grandi luoghi deputati a raccontare le tradizioni e la cultura dell’ebraismo si trasformano in vere e proprie istituzioni dedite alla formazione. A loro è dedicato il dossier “Musei” curato da Ada Treves e pubblicato sul numero del giornale dell’ebraismo italiano attualmente in distribuzione, che apre con un editoriale del direttore della redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che qui riproponiamo.
C’è stato un giorno, nella nostra storia recente, in cui le vicende degli ebrei italiani sono tornate in movimento, le nostre responsabilità sono tornate in gioco. Il giorno in cui si è cominciato a parlare di cultura, di storia e di Memoria in un modo nuovo. Quando siamo stati chiamati da Roma, da Ferrara e dalle mille voci della società civile a pensare a un museo dell’ebraismo italiano.
Era davvero un museo, quello che attendevamo, ciò di cui abbiamo bisogno? E che cosa si intende, in definitiva, quando si parla di un museo. In particolare quando pensiamo a un museo delle idee e delle cose ebraiche e in particolare quando parliamo di un ebraismo come quello italiano, che è ancora in cammino, ma ha alle spalle oltre due millenni di storia italiana da testimoniare?
Tutti sappiamo che nel dizionario ebraico il termine “museo” non esiste. Che il concetto può essere espresso solo ricorrendo a radici straniere o, peggio ancora, a goffi giri di parole. Per noi valgono altri itinerari, contano le idee vive, più che i reperti. Eppure contano, eccome, anche la Storia, le idee, la Memoria, le testimonianze, i libri. Contano ovviamente gli strumenti e i luoghi di preghiera. E sempre di più conta l’architettura, intesa come progetto per vivere assieme.
Costruire nuovi musei, ma soprattutto, con il sostegno del Governo italiano e dell’opinione pubblica, costruire a Ferrara il catalizzatore di tutti i musei ebraici italiani, conta. Anche se probabilmente non siamo capaci di pensare ai musei esattamente negli stessi termini di quelli proposti dalla cultura dominante. Non riusciamo a costruire ermetici forzieri dove allineare i tesori del passato. Celebrare un passato che ha perduto i suoi legami con il presente è un esercizio che non ci appartiene e non ci auguriamo. Un museo dell’ebraismo in questi termini lo voleva costruire a Praga, nemmeno tanti anni fa, una marionetta isterica e sanguinaria, cullandosi nell’illusione di cancellare con il genocidio ogni presenza ebraica viva in Europa.
No, non può assomigliare a questo, il museo di cui sentiamo il bisogno. Si rende quindi necessaria, per gli ebrei italiani, una riflessione seria.
Gli ingredienti per Ferrara e per la fitta rete di musei ebraici locali che hanno nel frattempo messo felicemente radici, spesso grazie all’eroico lavoro delle comunità e dei volontari locali, sono un’alchimia molto più complicata. I reperti e le testimonianze devono uscire dalle vetrine e tramutarsi in esperienze da vivere. I libri devono tornare oggetto di studio. Le sale conferenze devono essere luoghi di conoscenza, non d’accademia. Le porte d’ingresso devono aprirsi e accogliere una community di visitatori ricorrenti, italiani che assieme agli ebrei italiani si sentano a casa, non staccare biglietti ad anonimi visitatori sporadici. Se sarà così, se potranno realizzarsi i sogni di tutti coloro che con dedizione e professionalità lavorano oggi per i musei ebraici vivi, se i musei non saranno solo le istituzioni dove si contano le presenze e le visite guidate, ma i luoghi dell’incontro fra gli ebrei italiani e i cittadini di tutto il mondo, per l’ebraismo italiano potrà aprirsi un capitolo nuovo. E non solo perché costruire i luoghi dell’incontro è una sfida sempre appassionante. Ma perché da questi incontri, se ben impostati, se concepiti nel più rigoroso rispetto dell’identità e della religione ebraica, che gli ebrei italiani hanno la responsabilità di preservare prima di ogni altra cosa, può dipendere quella sicurezza e quel benessere di cui ogni minoranza ha bisogno per vivere serenamente in una società enormemente più grande, complessa e contrastata. Per raccogliere la sfida dei musei, gli ebrei italiani dovranno mettere da parte ogni tentazione di protagonismo, ogni sentimento di gelosia, ogni cedimento alla mancanza di professionalità. E potranno contare, se vorranno dare ascolto, su alleati preziosi. Le componenti, nazionali e locali, degli Esecutivi interessati. Il coinvolgimento delle popolazioni locali. L’esempio dei laboratori che il ministro della Cultura Dario Franceschini ha voluto aprire in tutti i maggiori musei italiani con la recente nomina di dirigenti preparati e ambiziosi, spesso chiamati dall’estero a proteggere e sviluppare la sola industria capace di salvare i destini italiani: quella della cultura e del turismo. Vincere questa scommessa non consentirà solo di aprire nuovi musei, ma sarà un modo per riprendere in mano il nostro destino segnato dalle mille ferite della storia. E il biglietto d’invito che potremo offrire a tutti i cittadini starà a significare che nei musei, nei nostri musei, potremo incontrarci e tornare ogni giorno per riscoprire in ogni stagione come l’Italia che amiamo, quella che appartiene a noi tutti, cittadini italiani e cittadini del mondo, non sarebbe la stessa se tralasciasse i destini degli ebrei italiani.
Guido Vitale, dossier Musei
Pagine Ebraiche, Settembre 2016
(Nell’immagine visitatori in fila al museo Polin di Varsavia)
(2 settembre 2016)