Suggestive analogie

anna segreUna cultura millenaria, con una propria lingua e un proprio alfabeto, in cui la religione ha un ruolo determinante. Secoli di persecuzioni culminati in un genocidio che qualcuno si ostina a negare. L’orgoglio ma anche la responsabilità e il peso della memoria. L’interazione continua con una diaspora spesso ricca e influente.
Le analogie tra gli ebrei e gli armeni suonano suggestive, e a una prima impressione offuscano le altrettanto evidenti differenze nella politica, nell’economia, nel peso della diaspora (quella armena è in proporzione molto più consistente); senza contare la ben diversa capacità di assumersi le proprie responsabilità da parte della nazione che ha perpetrato il genocidio, cosa che forse consente a noi ebrei un rapporto con la memoria un po’ più pacificato. Dunque le differenze ci sono, e sono notevoli. Eppure in alcuni momenti percorrendo l’Armenia da turisti e ascoltando le spiegazioni delle guide si ha l’impressione di poter osservare una volta tanto dall’esterno dinamiche che noi ebrei siamo abituati a vivere dall’interno: la ricerca di un rapporto equilibrato con la memoria, l’urgenza, ma anche la difficoltà, di rendere i visitatori consapevoli di ciò che è stato, le reazioni dei visitatori stessi, in cui alla pietà e al desiderio di conoscere si mescola talvolta anche una punta di insofferenza per una storia che non fa piacere ascoltare.
Curiosamente queste somiglianze sembrano essere notate solo da me; o, per lo meno, nessuno tra i miei compagni di viaggio ne parla a voce alta. Sarà solo un caso o davvero a sentir parlare di genocidi alla gente non vengono più in mente gli ebrei? E, se così fosse, vorrebbe dire che ci si sta dimenticando della Shoah? Che ancora una volta le persecuzioni subite dagli ebrei vengono ignorate o rimosse? Oppure vorrebbe dire che gli ebrei non sono più percepiti come le vittime di un terribile passato ma come i portatori di una cultura viva e volta verso il futuro? Sarebbe bello poter credere a questa seconda ipotesi, anche se temo che la ragione ci spinga verso la prima.

Anna Segre

(2 settembre 2016)