In ascolto – Shalosh
L’ovazione del pubblico torinese segna il grande trionfo della compagnia di danza israeliana Batsheva, sul palco con Shalosh (Tre) firmato dallo straordinario coreografo e direttore artistico Ohad Naharin, di cui si è parlato su Pagine Ebraiche in questi giorni.
Shalosh è nato nel 2005 e come dice il titolo stesso, è diviso in tre parti: Bellus, Humus e Secus.
Humus è definito nella presentazione dello spettacolo come “un intenso unisono, ipnotico e incantatorio, tutto al femminile su musica di Ohad Fishof”, mentre Secus è “un disegno geometrico mosso da un eclettico miscuglio musicale pop ed elettronico”.
Ma oggi parliamo del primo quadro, Bellus, in cui i danzatori si muovono sulle Variazioni Goldberg di Bach, un’opera molto interessante in cui si intrecciano storia e leggenda. Intorno al 1741 Bach pubblicò un brano lungo e complicato intitolato “Aria con diverse variazioni per clavicembalo a due manuali”; nelle sue intenzioni doveva essere il caposaldo di un progetto editoriale in cui voleva mostrare cosa fosse possibile realizzare sui tasti dal punto di vista tecnico, visrtuosistico e stilistico. È su questa aria che Bach sviluppò le trenta variazioni, chiamate Goldberg dal nome del giovanissimo clavicembalista a cui erano destinate. Secondo Nikolaus Forkel, primo biografo di Bach, fu un nobiluomo di Dresda, tale Hermann Carl von Keyserling, a commissionare l’opera: “In cattiva salute, il Conte soffriva sovente d’insonnia, e Goldberg che viveva in casa sua doveva distrarlo, in simili occasioni, durante le ore notturne, suonando per lui in una stanza attigua alla sua. Una volta il Conte disse a Bach che gli sarebbe molto piaciuto avere da lui alcuni pezzi da far suonare al suo Goldberg, che fossero insieme delicati e spiritosi, così da poter distrarre le sue notti insonni. […] Bach concluse che il miglior modo per accontentare questo desiderio fosse scrivere delle Variazioni, un genere che fino allora non aveva considerato con molto favore per via dell’armonia di base, sempre uguale. Sotto le sue mani, anche queste Variazioni divennero modelli assoluti dell’arte, come tutte le sue opere di quest’epoca”.
Alcuni musicologi sono molto scettici, ma è pur vero che l’aneddotica non toglie nulla alla bellezza di queste variazioni, che qualcuno ha definito un “cubo di Rubik” in riferimento all’impianto strutturale.
Quale fu la sorte dell’opera dopo la morte del compositore? Senz’altro circolavano le parti ma non
abbiamo notizia di specifiche esecuzinoi pubbliche fino alla fine dell’800 e lungo il ‘900.
Negli anni ’20 si distingue la versione di Rudolf Serkin e negli anni ’30 quella della clavicembalista polacca Wanda Landowska, una donna di grande talento nata a Varsavia da genitori ebrei, una vera pioniera nel processo di rinascita del clavicembalo che tenne cattedra a Berlino, a Parigi e in America e realizzò diverse registrazioni delle Variazioni Goldberg nel corso della vita.
Ma l’opera era destinata a raggiungere il grande pubblico attraverso il pianoforte e non con il clavicembalo. Nel 1955 il grande virtuoso Glenn Gould, a soli 23 anni fece un’incisione per la Columbia, oggi forse la più conosciuta anche dai non addetti ai lavori.
A partire dagli anni ’70 si fece avanti l’opinione che fosse importante utilizzare il clavicembalo perché più coerente dal punto di vista filologico ed ecco che un altro genio della tastiera, Keith Jarrett, alla fine degli anni 80 ne fece una sua versione su uno strumento costruito apposta per l’occasione da Tatsuo Takahashi, ma per certi versi quella di Glenn Gould resta una pietra miliare e forse anche per questo Ohad Naharin l’ha scelta per il suo Shalosh.
Consiglio d’ascolto: https://www.youtube.com/watch?v=-X3NjXpXaoo
Maria Teresa Milano
(8 settembre 2016)