ORIZZONTI Tradizione ebraica e partecipazione politica. Al voto per rendere il mondo migliore

voteQuella 2016 non è stata sicuramente un’estate all’insegna della spensieratezza. Attacchi terroristici, catastrofi naturali e terremoti politici hanno gettato un’ombra sul tradizionale tempo delle vacanze. Ad aprire la stagione delle incertezze è stato lo scorso giugno un appuntamento elettorale, il referendum sulla Brexit, che ha visto la vittoria di coloro che sostenevano l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Un preludio a quello che si preannuncia un anno di test importanti, dentro e fuori dai confini dall’Europa. Così mentre i cittadini italiani si preparano a votare per il referendum costituzionale, gli americani a eleggere un nuovo presidente, così come i francesi (la prossima primavera) e i tedeschi (nell’autunno 2017), ci si può chiedere, qual è l’approccio della tradizione ebraica al diritto-dovere di votare?
“Il contesto in cui la legge ebraica ha riconosciuto i diritti politici è quello della comunità locale” spiega Haim Shapira, docente della facoltà di legge dell’Università di Bar Ilan, in un articolo dedicato al tema del “Diritto alla partecipazione politica nella tradizione ebraica”. Nell’approfondimento, Shapira prende in considerazione diverse fonti, a partire dal Talmud, che si sono occupate nella questione, con una avvertenza: “il principale ostacolo di occuparsi di diritti nell’ambito dell’halakha (legge ebraica) è che essa si occupa di doveri. Di conseguenza per parlare di diritti è necessario farli discendere dai doveri”. La sua conclusione è quella che la tradizione ebraica abbia progressivamente introiettato ed enfatizzato il concetto di partecipazione politica, e che anzi, guardando a Israele “contrariamente alla diffusa affermazione che esista una contraddizione tra cultura democratica e valori ebraici, questi ultimi abbiano invece creato un’ampia base per l’accettazione dei principi della democrazia”.
A chiedersi se votare sia per gli ebrei equiparabile a un Comandamento, è stato il giornale ebraico Moment, che ha posto il quesito a diversi rabbini.
“La Torah non promuove il diritto di scegliere una leadership politica perché è stata data in un contesto culturale che non era egalitario né democratico. Essa prevede che il re e i leader agiscano nello Stato di diritto, ma non che la popolazione partecipi alla loro selezione” sottolinea rav Yitzhak Greenberg, Modern Orthodox. “Il profeta Geremia enfatizza come gli israeliti debbano essere parte dello Stato in cui vivono, contribuire a costruirlo, cercarne il benessere e pregare per esso. Il voto è lo strumento chiave per farlo. Ritengo inoltre che la democrazia sia il sistema politico che più ha la possibilità di portare avanti l’obiettivo del tikkun olam – la riparazione del mondo – che è contenuto nella Torah, che ogni essere umano sia considerato un individuo creato a immagine di D-o”.
il rabbino ortodosso Yitzchok Adlerstein sostiene invece che ci siano le condizioni per affermare che votare sia un dovere halakhico, per due ragioni: la hakarat hatov, la gratitudine nei confronti del proprio paese, e l’obbligo di perseguire il bene della propria comunità, secondo un principio già espresso nel 1984 dal grande maestro di Halakha rav Moshe Feinstein.
“Ci sono molte fonti nella Torah che parlano del dovere all’impegno civico” sottolinea invece il rav Chabad-Lubavitch Dov Wagner, che però esclude si possa arrivare ad affermare l’esistenza di un Comandamento al voto. Anche lui ribadisce come la partecipazione elettorale sia però uno strumento fondamentale di rendere il mondo un posto migliore, più in sintonia con la sua innata sacralità. “Infine, un’altra ragione per cui è importante partecipare alle elezioni è che tutti noi contiamo, ogni singolo individuo, e non più, né meno, del suo prossimo. E per quanto questo principio possa essere messo in discussione nelle turbolenze e nei cambiamenti dei sistemi politici, non lo è mai dove davvero conta: nel nostro assoluto ed essenziale valore agli occhi di D-o”.

Rossella Tercatin