Il veleno del Bds
“Don’t dance with Israel”, non danzare con Israele, stai lontano da Israele, altrimenti ti contamini con il suo governo; schierati invece contro le sue politiche di occupazione e di apartheid. Quello che Israele produce va boicottato; anche se si tratta di arte sopraffina, è pur sempre demoniaca dal momento che si mette al servizio del male. Boicottiamo l’arte israeliana, appartiene a “un regime ingiusto”, contrapponiamole l’arte del bene, libera di mettersi a servizio di una buona causa.
Ecco, è con questo messaggio che il britannico Brian Eno qualche giorno fa ha inaugurato il festival Torinodanza, negando la sua musica ai teatranti e danzatori israeliani. Pensare che il direttore della compagnia è a sua volta un fermo oppositore della politica di Netanyahu. Prontamente – come fossero abituati – gli artisti israeliani, pur rattristati dal rifiuto, hanno trovato altra musica, e lo spettacolo si è rivelato poi di altissimo livello e qualità. L’arte trova sempre il modo di esprimersi al meglio; non può essere etichettata come italiana, israeliana o americana, appartiene solo a se stessa ed è ridicolo pensare di poterla boicottare.
Le accuse degli attivisti del BDS sono: occupazione illegale di territori, discriminazione, apartheid. Ma in questo caso specifico Eno rimprovera agli artisti israeliani nientemeno che la noncuranza: tutti presi dal desiderio di lavorare e continuare a produrre arte, costoro non si curano del fatto che il loro governo li utilizza per far sfoggio della sua cultura. Anche quando afferma il legalitarismo strenuo del suo esercito nei momenti bellici, o il rispetto di tutte le minoranze che l’hanno fin da subito eletto a unica democrazia in Medio Oriente, Israele fa propaganda. Parla di apartheid, Eno, confonde Israele con il Sudafrica di un tempo, la segregazione razziale dei neri sancita per legge.
Boicottaggio è una parola triste, che ha un’origine, guarda caso, inglese. Deriva dal nome del capitano Charles Boycott, celebre per vessare i contadini suoi dipendenti nell’Irlanda ottocentesca. Fu così che la Lega irlandese dei lavoratori della terra lanciò contro Boycott una campagna d’isolamento: i vicini di casa non gli rivolsero più la parola, in chiesa nessuno si accostò più a lui, non fu ricevuto nei negozi né ebbe più uomini da impiegare per il raccolto nelle tenute che gestiva. Boycott fu cacciato, ben fatto, in questo caso! C’era ancora la guerra d’indipendenza in Israele, quando Bernstein nel 1947 decise di andare a dirigere l’Orchestra a Be’er Sheva appena liberata. In mezzo al deserto Bernstein salì su una duna e diede il ‘la’ con la sua bacchetta, cadevano ancora le bombe ma nessuno si muoveva, tutti rapiti dalla musica. Nei decenni successivi suonarono Carlo Maria Giulini, Claudio Abbado, Benedetto Michelangeli, Zubin Mehta e tanti altri grandi. E ben pochi si mossero dalle sedie quando con coraggio nell’anno 2001 Daniel Barenboim mise in scena a sorpresa il preludio di Tristano e Isotta di Richard Wagner. Il geniale musicista antisemita amato e glorificato da Hitler le cui composizioni erano bandite in Israele. Certo, alcuni dei presenti abbandonarono la sala, altri addirittura piansero, ma la maggioranza applaudì. Ecco, Brian Eno, la grande musica cosa può fare.
Tiziana Della Rocca
(11 settembre 2016)