La mappa di chi dona agli altri

schermata-09-2457643-alle-13-32-05Sono 76 i paesi verso cui, nel corso del 2014, Israele ha fatto delle donazioni per sostenere l’economia locale. A indicarne il numero e le cifre stanziate, una chiara infografica prodotta dalla rivista Economist, in cui si evidenziano gli aiuti distribuiti e ricevuti dai vari paesi del mondo. Una lista che non è esaustiva, spiega la stessa testata perché ad esempio manca la Cina a causa dell’assenza di dati forniti da Pechino, ma che dà un quadro dell’impegno internazionale dei vari Paesi e di quanto sostegno economico ricevano alcune realtà da altre nazioni, stando ai dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. L’Italia, per esempio, ha inviato donazioni a 98 paesi. I maggiori beneficiari dell’aiuto di Roma nel 2014 sono stati tre paesi africani, l’Etiopia, il Mozambico e la Tunisia (in media 24 milioni di dollari), e uno mediorientale, l’Afghanistan (30 milioni di dollari). Il paese che sul mappamondo degli aiuti colleziona più stati è il Giappone, con 142 realtà finanziate (impressionante il dato sull’India, a cui Tokyo ha versato oltre 1miliardo di dollari di aiuti; ingenti anche le cifre stanziate per Iraq, 342 milioni, e Indonesia, 555 milioni di dollari); secondi gli Stati Uniti (che tra Pakistan e Afghanistan nel 2014 ha stanziato circa 2 miliardi e mezzo di dollari di aiuti, oltre 600 per il primo, quasi 1.8 per il secondo).
Tra i paesi e le realtà invece più popolari tra quelli che ricevono contributi economici, i territori palestinesi, assieme ad Afghanistan, Cina e Uganda: ciascuno di queste entità riceve aiuti da 35 paesi diversi. West Bank e Gaza, stando ai dati raccolti dall’Ocse, risultano essere anche tra i maggiori beneficiari dei progetti di cooperazione e sviluppo avviati – sempre nel 2014 – da Israele, assieme alla Giordania e alla Siria. I settori su cui si concentra l’aiuto di Gerusalemme, sottolinea l’Agenzia israeliana per lo sviluppo e la cooperazione internazionale (nota con l’acronimo di Mashav), sono sono la gestione delle risorse idriche, l’agricoltura nel deserto e al contempo la lotta contro la desertificazione, l’educazione della prima infanzia, lo sviluppo rurale e delle comunità, l’aiuto ai paesi in stato d’emergenza o dopo catastrofi naturali – tra cui, attraverso l’organizzazione IsraAid, alle popolazioni vittima del terremoto nel centro Italia – la salute pubblica e il miglioramento della condizione delle donne. Israele, specifica l’Agenzia nata a pochi anni dalla fondazione dello Stato ebraico (1957), offre la sua cooperazione bilaterale allo sviluppo per lo più in forma di progetti di cooperazione tecnica e di sviluppo di capacità sul territorio. Seguendo l’ideale di essere luce delle nazioni, Israele ha cercato di costruire un articolato sistema di aiuti, in particolare a paesi del Terzo mondo o in via di sviluppo: dalla sua istituzione, il Mashav – si legge nel sito dell’ente – ha preparato in diversi campi circa 270.000 partecipanti ai progetti, provenienti da 132 paesi, sviluppando decine di progetti in tutto il mondo.
Esempio concreti di questo tipo di collaborazioni, quello dl lago lago Vittoria, in Uganda. Qui la carpa è stata da sempre una parte importante della dieta degli abitanti dei villaggi vicini al lago. L’introduzione però nelle sue acque del pesce persico del Nilo nel corso degli anni decimò la popolazione delle carpe. Il problema per gli abitanti dei villaggi – centinaia di persone – era che non erano in grado, senza attrezzature né esperienza, di catturare l’enorme pesce persico, non riuscendo così a provvedere al proprio sostentamento e a quello dei propri figli. Berta Sivan, docente della Hebrew University di Gerusalemme è riuscita, con un progetto appoggiato dall’agenzia governativa, ad aiutare queste famiglie africane. Utilizzando competenze sviluppate in Israele, il suo progetto ha riportato con successo la carpa negli allevamenti ittici ugandesi, ma è stato anche un modo per fornire corsi di formazione su come scavare e riempire gli stagni e aumentare il pesce piccolo. Ora, raccontano i promotori del progetto, i bambini locali hanno un abbondante approvvigionamento di proteine.