Ce veniti a’ recita?
La Giornata a Roma chiuderà con “Ce veniti a’ recita?”, spettacolo in giudaico-romanesco portato in scena dai due storici gruppi teatrali in dialetto, la compagnia “Quasi stabile” di Alberto Pavoncello (AP) e “Quelli dei giudaico-romanesco”, il cui portavoce è Raffaele “Lello” Pace (LP). Uno spettacolo realizzato in collaborazione con l’Adei-Wizo, al quale parteciperà come “presentatore” Daniele Volterra, e che si terrà alle 20.30 del 18 settembre al Palazzo della Cultura, in via del Portico d’Ottavia.
Abbiamo posto ad Alberto e Lello alcune domande, una “intervista doppia” a due appassionati di teatro che, pur con storie e in tempi diversi, si dedicano a portare avanti la tradizione (e la trasmissione) di un linguaggio molto peculiare e, tutt’oggi, ancora molto usato tra gli ebrei romani.
Raccontateci la vostra esperienza nel teatro giudaico-romanesco?
(AP) Io sono un insegnante di matematica, ma mi sono dedicato per diletto al giudaico-romanesco sin dalla fine degli anni ’70, quando mettemmo in scena una primissima piéce che si chiamava Biancarella, sorta di Biancaneve in salsa giudaico-romanesca, scritta dai miei alunni. Dal 1983 ho partecipato alla realizzazione di tre commedie con il gruppo “Chaimme, ‘a sore, ‘o sediaro e ‘a moje”, la compagnia storica di Mirella Calò e Giordana Sermoneta, che praticamente era l’unione delle due compagnie che oggi tornano collaborare. Le commedie erano “Il popolo è eletto, ma non lo dite a Dio”, “Pur’io riderio, si ‘o matto un fosse ‘o mio”, “Nessuno l’avria da provà”. La compagnia, senza alcun dissidio, si sciolse nell’89. Negli anni successivi facemmo laboratori teatrali e altri progetti, e solo nel ‘98 mi sono impegnato personalmente nella “Compagnia Quasi stabile”, producendo tante commedie in giudaico-romanesco e anche solo in romanesco, testi come “Doi jodei in comune”, “’A stimanata bianca… ‘a maccà”, “Colaimmi provati”, “O fijo de nisciuno”, “Mala via pija lo fumo”. Nell’ultimo periodo utilizziamo un particolare format, quello degli approfondimenti tematici, che durano circa mezz’ora, e che prevedono un dibattito con il pubblico: abbiamo parlato di conversioni, di social network, di bullismo e di omosessualità, un tema proposto solo poche settimane fa.
(LP) Io sono un imprenditore, e al contempo mi dedico alla Comunità in diversi modi, sia come consigliere della Cer, sia come, appunto, attore in dialetto. La mia esperienza inizia quattro-cinque anni fa, mi sono andato a inserire nella compagnia di Giordana Sermoneta e Mirella Calò, “Quelli del giudaico-romanesco”, che ora però per varie ragioni personali non partecipano più. Finora ho recitato in due commedie, “Casa mia è un mare quando piove”, che ho contribuito a scrivere, e “Ricco reciudde”, sul tema delle Alyòt.
Una collaborazione inedita tra le due storiche compagini: com’è andata?
(AP) Direi benissimo, anche perché con Lello e con gli attori dell’altra compagnia siamo amici. Ci siamo incontrati e abbiamo pensato che per rendere la cosa più snella e semplice, faremo delle scenette, attingendo ognuno dal proprio repertorio. Noi del teatro Quasi stabile attingeremo dai tanti spettacoli allestiti in tutti questi anni.
(LP) La collaborazione è andata benissimo, anche perché, al di là del teatro, conosco Alberto da sempre e lo stimo tantissimo. Per quanto riguarda la nostra compagnia, abbiamo preso le scenette dall’unica nostra commedia che permetteva di estrapolarle cioè “Sex and the ghetto”, perché gli altri lavori hanno tutti una storia più articolata. E poi abbiamo scritto degli sketch appositamente per il 18 settembre.
Cosa significa per te il giudaico romanesco e la cultura ebraica romana?
(AP) Il giudaico romanesco è, praticamente, la vita che ho sempre vissuto, e che io porto a teatro. Fa parte della mia cultura. Mi diverte molto, e mi basta osservare la gente per trovare l’ispirazione. Il nostro dialetto non è solo una cosa verbale: è fatto di gesti, di mimica, di atteggiamenti… non è così banale, ma piuttosto complesso, anche da rappresentare a teatro.
(LP) Per me è un aspetto rilevante della cultura ebraica romana e anche nel consiglio della Comunità cerco di porre l’attenzione sull’importanza di questa tradizione. Considera che mia nonna è una di quelle signore che, spesso, trascorrono il loro tempo proprio “in piazza”, a chiacchierare. Il giudaico romanesco l’ho dunque vissuto sin da bambino, è un linguaggio antico, che nessuno parla più regolarmente come un tempo, ma è un po’ la lingua della nostra memoria storica. E per questo va preservato.