Zamenhof che inventò una lingua etica: l’esperanto

fap-inaugur-21-8-11Tra i protagonisti del programma fiorentino della Giornata Europea della Cultura ebraica, Fabrizio Angelo Pennacchietti, professore emerito dell’Università di Torino, che interverrà per raccontare l’affascinante storia dell’esperanto e il suo legame con la cultura ebraica.

Professore quale è la sua formazione e da dove deriva il suo interesse per l’esperanto?
Ho studiato linguistica a Torino con Benvenuto Aronne Terracini e a Roma filologia semitica con Sabatino Moscati, con cui mi sono laureato nel 1963. Mi sono occupato prevalentemente di linguistica comparata della lingue semitiche, di epigrafia e solo molto marginalmente di ebraistica. Come linguista mi hanno incantato l’ineguagliabile struttura e le potenzialità espressive della lingua proposta da Zamenhof.

Chi era Zamenhof?
Ludwik Lejzer Zamenhof (Bialistok 1859 – Varsavia 1917), figlio di Mordka (“Marko”) Fajvelovič Zamenof e di Liba Šolemovna Sofer, ebrei lituani, si definì sempre “ebreo russo”. Nacque a Białistok, una delle città più industriali dell’impero russo, che aveva un’altissima percentuale di popolazione ebraica, e dove erano forti erano le tensioni tra le varie etnie: ebrei, polacchi, russi, lituani, tedeschi e tatari. Quand’era quattordicenne la sua famiglia di trasferì a Varsavia. Dal 1879 al 1881 studiò medicina a Mosca.

Cosa è esattamente l’esperanto?
L’Esperanto è un caso unico di lingua pianificata di larga diffusione (è inserita su Google e su Wikipedia), non etnica ma semmai “etica”, adottata come seconda lingua per libera elezione e non trasmessa “geneticamente”, nel senso “di padre in figlio”, di generazione in generazione. Nasce da un progetto di lingua ausiliare lanciato a Varsavia nel 1887, ma elaborato nel corso di 15 anni, dal 1872 al 1887, attraverso varie fasi di sviluppo, da una sola persona: Zamenhof. Il suo creatore rinunciò da subito a ogni diritto di proprietà intellettuale, morale e materiale riguardo alla sua creatura, ma nel 1905, in occasione del Primo Congresso Universale di Esperanto a Boulogne-sur-Mer, ottenne che il cosiddetto Fondamento della lingua (una prefazione, una grammatica, una collezione di esercizi e un vocabolario) fosse dichiarato immutabile: una sorta di “costituzione” che ne ha garantito un equilibrato sviluppo durante 129 anni.

Quanto ha contato la componente della sua formazione ebraica nell’idea di creare l’esperanto?
Mi riferisco anche alle persecuzioni che visse e vide, e che forse lo fecero riflettere sulle divisioni tra popoli…
Zamenhof si è sempre dichiarato ebreo. Scrisse in una lettera del 1905: “Io sono un ebreo e tutti i miei ideali, la loro origine, la loro maturazione e la loro ostinazione, l’intera storia delle mie lotte interne ed esterne – tutto ciò è inscindibilmente legato a questa mia ebraicità. Non ho mai nascosto di essere ebreo e tutti gli esperantisti lo sanno; con fierezza mi ritengo parte di questo popolo così antico, che ha tanto sofferto e combattuto, la cui missione storica, a mio parere, consiste nell’unire le nazioni per convergere verso un unico Dio”…

E quanto è “ebraico”, in termini culturali, l’esperanto?
L’Esperanto in sé, come strumento di comunicazione linguistica, è indifferente ad ogni connotazione etnica, culturale, politica, religiosa o di genere. Esso può tuttavia essere considerato una lingua “ebraica” per il fatto di essere stato concepito e strutturato dal genio linguistico di un ebreo, in un primo momento al solo fine di facilitare la comunicazione tra gli ebrei del mondo.
Una parte consistente delle motivazioni che hanno indotto e inducono singoli individui, attraverso le generazioni, ad adottare l’Esperanto come seconda lingua, o meglio come “lingua d’elezione” o “lingua interiore” è tuttavia rappresentata dalla cosiddetta “idea interiore” (interna ideo) che gli viene attribuita. Qui è evidente l’aspirazione universalistica che connota da sempre, da una parte, l’ebraismo, dall’altra, la chiesa universale (di sicuro non certe chiese nazionali). Nell’interna ideo c’è pure una chiara componente illuministica che consiste nell’illusione che il superamento delle barriere linguistiche (nonché delle barriere religiose) nelle relazioni internazionali sia sufficiente a stabilire rapporti pacifici tra gli uomini. A mio avviso l’illuminismo in tutte le sue declinazioni non tiene conto dello yétzer ra‘, dell’istinto malvagio radicato nell’anima di ogni persona.

Secondo lei l’utopia futura di una lingua comune dell’umanità resterà sempre un’utopia? Insomma, l’intuizione di Zamenhof avrebbe potuto o potrebbe realizzarsi?
L’Esperanto non è un’utopia, è di fatto una realtà che non ha tuttavia superato la soglia della massa critica per affermarsi come meriterebbe.
Il destino delle lingue nazionali è aleatorio. Il cinese ragionevolmente aspira a un ruolo internazionale che attualmente è detenuto dell’anglo-americano. La sperequazione linguistica, la discriminazione e il conflitto tra le lingue nazionali a lungo termine giocano in favore di una lingua internazionale “an-etnica” come l’Esperanto. Non è da escludere che l’anglo-americano costituirà il battistrada per l’affermazione di tale lingua “an-etnica”.

Può raccontarci cosa la colpisce di più dell’intera vicenda della vita e del sogno utopico di Zamenhof?
Sono convinto che la molla che ha spinto il tredicenne Zamenhof a pianificare il suo progetto di lingua ausiliaria internazionale sulla base delle lingue da lui allora conosciute sia stato l’assoluta mancanza di prestigio in cui versava lo Yiddish, lo jargon, come veniva con disprezzo chiamata la lingua quotidiana di sua madre e della quasi totalità della popolazione ebraica della sua città natale. Il russo, la lingua adottata da suo padre, era ovviamente la lingua più prestigiosa; seguivano il polacco e il tedesco della vicina Prussia. Il senso di frustrazione e di umiliazione che Zamenhof ha provato già nell’adolescenza per la pesante discriminazione sofferta dalla sua gente lo hanno spinto da una parte a nobilitare lo Yiddish promuovendone la normalizzazione della grammatica e l’introduzione dell’alfabeto latino, dall’altra a pianificare una lingua pensata, in un primo momento, come lingua universale per gli ebrei.
Zamenhof era di indole religiosa e considerava quasi blasfemo, una sorta di profanazione, il progetto di utilizzare la Lingua Sacra (leshon ha-qòdesh) come lingua colloquiale e profana.

Marco Di Porto