Ticketless – Oblio

cavaglion La discussione che s’è svolta a Ferrara domenica scorsa, in occasione della Festa del libro ebraico, oltrepassa i confini della storiografia. Riguarda il modo di ripensare ai nostri bisnonni in trincea. Chi mi sa spiegare perché così a lungo li abbiamo dimenticati? È come se fossero morti invano. Gli storici hanno le colpe più gravi: tolte rare eccezioni hanno aspettato il 150esimo anniversario dell’Unità per riscoprire in fretta e furia il Risorgimento. Infastidiva il patriottismo, indigesto perché contaminato dal fascismo, ma inviso nel secondo dopoguerra anche alla cultura cattolica e comunista che guardava ad una visione sovranazionale della società. Gli ebrei italiani hanno verso i caduti della Grande Guerra non minori responsabilità. L’idea che l’ebraismo sia stato in quelle ore subalterno all’italianità era e temo sia ancora indigesto. Quei caduti riemergono adesso dagli scantinati degli archivi famigliari, senza che vi sia per loro non dico la prospettiva di un Giorno della Memoria, ma semplice rispetto e comprensione. Trovare un punto di equilibrio nella diversità è arduo, ma trovarlo nell’età dei nazionalismi era un problema dannatamente più difficile da risolvere delle nostre accademiche distinzioni fra laici e religiosi, fra diaspora e Israele. Nonostante le apparenze noi veleggiamo sopra un mare in bonaccia, rispetto ai nostri antenati che affrontarono le onde di una tempesta senza precedenti. Essere ebrei è difficile sempre, ma qualche cosa che assomigli ai dilemmi davanti ai quali gli ebrei italiani si trovarono alla vigilia della Grande Guerra è difficile da immaginare.

Alberto Cavaglion

(14 settembre 2016)