In ascolto – Noa
In un anno credo di non aver mai parlato di Achinoam Nini, al secolo Noa, se non di sfuggita. Non certo perché non la apprezzi, anzi, credo sia un’artista straordinaria, oltre che una persona dotata di grande umanità. Forse non ne ho mai parlato perché mi ci vorrebbe un libro intero per descrivere le sue doti tecniche, la capacità interpretativa e l’originalità della sua musica. Noa è cresciuta a New York, ascoltando i grandi del pop e del folk americano e cantando con la nonna le antiche melodie ebraiche yemenite e questa doppia identità musicale l’ha accompagnata per tutta la vita, dalla scelta di musicare, nel suo primo album, la poesia Ilanot di Leah Goldberg (in cui cantava “my roots are on both sides of the sea”) fino all’album Genes and Jeans, in cui l’inglese e e le sonorità del pop si intrecciano con le note del tradizionale “Sei Yona”, un gioiellino che ogni cantante di origine yemenita da Ofra Haza fino a Timna Brauer, tanto per citare due opposti dal punto di vista interpretativo, non può mancare di eseguire. A 17 anni Noa decide di fare l’aliyah e deve ovviamente adempiere agli obblighi militari, ma è proprio nell’IDF che fa i due incontri fondamentali della sua vita: l’uomo che oggi è suo marito e Gil Dor, chitarrista cresciuto alla scuola di Pat Metheny che subito riconosce il suo talento e la accompagna in un lungo cammino di studio e di creazione di uno stile davvero unico, in cui l’unione di est e ovest è talmente naturale da risultare di facile ascolto per ogni tipo di pubblico. Noa ha una voce agile e una grande tecnica per cui ha la grinta del rock in canzoni come “Manhattan-Tel Aviv” e un grande dolcezza in altre come “Babel”; è molto classica in “Bereshit”, ha virtuosismi da cantante lirica in “Marionettes”, ma ha un bel suono naturale negli standard jazz; si cimenta con lingue diverse tra cui il napoletano e il suo repertorio è così versatile che negli anni l’abbiamo ascoltata in duo, con la band e con diverse orchestre sinfoniche.
I miei album preferiti restano i primi, in cui c’è la ricerca di comporre melodie su classici della poesia israeliana e credo che brani come “Keren Or” e “Uri” possano essere considerati tra i migliori della sua carriera. In questo grande contenitore ci sono cose uscite meglio, cose uscite meno bene, ma è certo che si tratta di una produzione musicale eccellente e non a caso hanno cantato al suo fianco i più grandi nomi del panorama mondiale, da Ray Charles a Bobby McFerrin.
Oggi voglio usare le parole di una canzone di Noa, tratta dal suo ultimo album “Love Medicine”, a cui hanno collaborato nomi importanti come Joaquin Sabina, Pat Metheny e Gilberto Gil, per salutare un’amica che in questi giorni ci ha lasciati: Alessandra Cambatzu, studiosa di yiddish e traduttrice che solo qualche settimana fa mi aveva regalato la traduzione di una poesia di Heschel per questa rubrica.
La canzone è “Nothing but a song”, che dice: “Your smile is all that the world can’t destroy. And we, we want to see, though all the pain, and all the tear. All that has gone wrong. With nothing in our hearts. Nothing but a song”.
Consiglio d’ascolto:
Maria Teresa Milano
(15 settembre 2016)