SOCIETA’ Demenza digitale e politica La denuncia dell’Economist

economistLo ha intitolato “Il mondo della post-verità” e ha dedicato una ventina di pagine a spiegare perché la sempre più frequente diffusione non soltanto di menzogne, ma di un totale disinteresse per la realtà, è preoccupante per il mondo intero. Così l’ultimo numero dell’Economist si occupa di politica e demenza digitale. Il settimanale britannico guarda all’America e all’Europa e fotografa una situazione fatta di leader e opinion maker che insinuano, distorcono, mentono. E di un pubblico che è sempre più disponibile a prestare loro ascolto, cullandosi in affermazioni che rafforzano le proprie convinzioni, spesso radicate in una rabbia profonda verso “élite” e istituzioni. In questo quadro, a far crescere il meccanismo in maniera esponenziale, sono inoltre i nuovi media.
“In America e altrove, si assiste a uno spostamento della politica verso una realtà in cui i sentimenti prevalgono sui fatti più liberamente e incontrando meno resistenza che in passato. Aiutati dalla tecnologia, da una iper-quantità di fatti, e da un pubblico sempre meno incline alla fiducia, molti politici raggiungono nuove e pervasive vette di falsità. Se questa situazione persiste, il potere della verità come strumento per risolvere i problemi della società potrebbe essere drasticamente ridotto per sempre” mette in guardia il giornale.
Tanti i casi portati a esempio: la campagna elettorale a favore di Brexit, molte affermazioni del candidato alla Casa bianca Donald Trump, la retorica nazionalista dell’attuale governo polacco, le teorie diffuse dopo il tentato golpe in Turchia.
A favorire questa tendenza, il fatto che “gli esseri umani non sono naturalmente portati alla ricerca della verità, ma, come mostrano numerose ricerche scientifiche, tendono a evitarla. La gente accetta istintivamente le informazioni a cui è esposta, e deve quindi impegnarsi a fondo per resistere alla tentazione di credere alle falsità”. Un fenomeno che lo psicologo e premio Nobel Daniel Kahneman chiama “cognitive ease”: gli esseri umani tendono a tenersi lontani dai fatti che costringerebbero il loro cervello a lavorare più duramente.
Uno studio del Pew Research Centre dimostra che due terzi degli americani oggi riceve notizie sui social network, e il numero è in crescita. “Su Facebook, Reddit, Twitter o WhatsApp, chiunque può pubblicare. I contenuti non vengono più veicolati in formati fissi e in un contesto, come nel caso degli articoli di giornale, che aiuta a stabilirne la provenienza e determinare le aspettative a riguardo. Possono invece assumere qualunque forma, un video, un grafico, un’animazione – sottolinea l’Economist – I dati riguardanti quanto questi contenuti vengono diffusi diventano più importanti del fatto che essi siano o meno basati sulla realtà”. A tutto ciò si aggiunge il trend per cui persone con convinzioni simili vanno a formare un cluster, un gruppo che fa dà cassa di risonanza alle medesime idee, le quali acquistano in questo modo maggiore credibilità, ancora una volta indipendentemente dalla loro veridicità. Senza contare che i social media non si considerano testate giornalistiche ma imprese internet, e non rispondono quindi ai principi etici fondamentali del mondo dell’informazione.
Un ruolo di contrasto a questo fenomeno, evidenzia il settimanale, potrebbe essere assunto proprio dai media tradizionali, che però impoveriti dalla crisi e dalla diminuzione del numero di lettori, fanno fatica a rinunciare a diffondere contenuti che, pur di scarso valore giornalistico, aiutano a vendere.
Ancora più importante però è l’atteggiamento che deve assumere la collettività intera: pretendere fatti, verità, rigore, sanzionare socialmente ed elettoralmente i leader, politici e non, che sguazzano e sfruttano la post-verità. La sanità e l’effettività del dibattito pubblico del presente e soprattutto del futuro dipendono da questo.

Rossella Tercatin