dialogo…

È raro incontrare una autorità religiosa che palesemente si opponga al dialogo interconfessionale. È altrettanto raro che qualcuno non colga il valore del dialogo interreligioso. Esistono maestri che lo interpretano come un obbligo, quasi mitzva, chi lo avverte come un impegno sociale, chi si accosta ad esso con molta cautela, ma è da tutti condivisa l’idea di una sua utilità politica, sociale e diplomatica. Giammai teologica, per ovvi motivi.
Fonti ebraiche in questo ambito non mancano e il saggio “Confrontation” di Rav Joseph Soloveitchik, HaRav, del 1964, resta un punto fermo per una sana riflessione e una costruzione ebraica dell’incontro e del Dialogo.
La nostra generazione oggi, nel 2016, è forse chiamata a scrivere un nuovo saggio che potrebbe avere il titolo di “Confrontation among us”, un punto dal quale partire per una riflessione tutta interna al nostro popolo: un confronto tra le sue diverse denominazioni. Un confronto tra le sfumature di ortodossia, tra esse ed i movimenti conservative e reform con la consapevolezza e l’onesta’ che l’halacha nella sua reale esistenza e ciò che ci separa, ma che il richiamo identitario ebraico resta lo stesso.
Con la consapevolezza che le distanze esistono e non tutte possono essere annullate, ma esistono anche elementi comuni come il rapporto con Israele, l’impegno per la Memoria, la lotta all’antisemitismo e all’antisionismo.
Perché senza un onesto confronto interno mi viene difficile pensare a un impegno interconfessionale che non sia anche foriero di una certa ipocrisia: se mi siedo a dialogare con Esaù ed Ismaele, dovrei anche saper dialogare con tutti i figli di David e Salomone.

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino

(16 settembre 2016)