Mediterraneo, le antiche ferite
e una nuova stagione di incontro
Il 18 settembre è stata una data significativa anche per l’ebraismo siciliano. Palermo, da tre anni inserita tra le città italiane che partecipano all’appuntamento annuale della Giornata Europea della Cultura Ebraica, ha contribuito come un tassello fondamentale a formare il grande e variegato mosaico delle lingue e dei dialetti ebraici. La conferenza, organizzata dall’Istituto siciliano di studi ebraici e dall’Officina degli studi medievali, si è svolta nell’Aula Damiani Almeyda dell’Archivio storico Comunale, luogo suggestivo perché sito all’interno dell’antica giudecca palermitana ed ex sinagoga, a cui Almeyda si è ispirato per costruire la sala contenente 7000 metri di scaffali. La sala espone il documento di espulsione degli ebrei da parte di Ferdinando il Cattolico. Il documento, scritto in spagnolo e in siciliano, per essere compreso da tutti, sembrava suggerire il tema da affrontare. La Sicilia e la lingua hanno in comune il loro essere ponte, luoghi di passaggio dove si incontrano la varietà di culture e di parole. Ad intervenire rav Pierpaolo Pinhas Punturello, le professoresse Angela Scandaliato docente di storia e filosofia, Rita Calabrese docente di letteratura Tedesca dell’Università degli Studi di Palermo, Luciana Pepi, docente di Filosofia Medievale ebraica dell’Università di Palermo, moderatrice dell’incontro, e l’assessore alla Cultura Andrea Cusumano. Presente anche il sindaco della città Leoluca Orlando e il presidente della Consulta delle Culture Adham Darawsha. Il mediterraneo, dunque, è il luogo da cui ha preso via il “viaggio”, così definito da rav Punturello, delle lingue nel mondo ebraico e le cui radici si dispiegano lungo il terreno dell’ambiente circostante. Un viaggio “dai confini difficilmente identificabili- continua il rav – perché parte dal mediterraneo per giungere all’est Europa passando per i paesi arabi fino al sud America e l’Italia”. Non mancano i riferimenti biblici come quello della Babele biblica dove “Dio manda una varietà di lingue, una ricchezza che evita il grigiume” di un mondo uguale a se stesso. Le lingue così diversificate camminano insieme agli uomini e diventano “rifugio per tutti quelli che fuggono per la salvezza” ritrovando nella loro lingua madre una casa. La varietà delle lingue che si sono via via sfumate lungo il percorso, il ladino, il bagitto e le rispettive diversificazioni, incontrano delle “pietre identitarie” riprendendo l’espressione di Carlo Levi, ad indicare la capacità della lingua di conservare, nonostante le influenze, l’identità di un popolo, anzi le identità, perché “quelle che noi consideriamo parole sono vetrine sulle mille identità e l’antidoto più forte di un mondo omologato. Fino a quando avremo lingue diverse, avremo idee diverse” conclude Rav Punturello. Indispensabile uno sguardo sulla cultura degli ebrei di Sicilia fra Tre e Quattrocento, e sulle ricchezze che questa cultura ha lasciato facendo così dell’isola un bagaglio culturale grazie alla scoperta e allo studio di documenti quali Ketubot, formulari, contratti, lettere commerciali, manoscritti ma anche iscrizioni come quella dell’ingresso dell’antica sinagoga di Siracusa e la lapide funeraria di Caltabellotta. I documenti e monumenti sono testimoni delle influenze linguistiche dell’ambiente circostante. Vi troviamo infatti, come ha spiegato con precisione e passione la professoressa Scandaliato, la lingua giudeo-araba con il latino e il greco, l’italiano ma anche insieme alla lingua sefardita e ashkenazita.
Dal mediterraneo si è passati a guardare l’evoluzione della lingua nel nord Europa. A parlarne la professoressa Calabrese, con l’obiettivo di dimostrare l’affezione degli ebrei tedeschi alla propria lingua. Quella chiamata “tedesca” era la lingua yiddish, nata nella zona della Lorena e luogo di fusione tra la lingua romanza e quella germanica. Quest’ultima, infatti, diventa quasi un laboratorio sperimentale grazie agli influssi romanzi e slavi. Personalità come Mendelsohn, Herzl, Kafka, Arendt, Zweig, Heine, testimoniano l’importanza e l’attaccamento da parte di ebrei tedeschi alla lingua madre, frutto di molti stimoli linguistici ma soprattutto “patria portatile” e rifugio. Il convegno si è concluso con un concerto di musica sefardita e ashkenazita eseguito dall’Ensemble Tahev Shir. I quattro brani, uno sefardita, due yiddish e uno giudeo arabo, raccontano, “lo scambio fecondo del cambiamento e dell’erranza”. Il numeroso pubblico ha risposto positivamente all’evento ad indicare come gli italiani sentano l’ebraismo un tassello fondamentale della loro storia.
Claudia Lo Iacono
(20 settembre 2016)