Eliezer Ben-Yheuda

sira-fatucciTra le numerose sfide culturali che il popolo ebraico ha affrontato nel corso della sua storia plurimillenaria, in epoca moderna possiamo senza dubbio annoverare la rinascita della lingua ebraica.
L’ebraico: una lingua utilizzata per moltissimi secoli solo per la liturgia, il rituale, e per lo studio dei testi sacri, come un fuoco che cova sotto le ceneri, all’improvviso negli anni 80 del diciannovesimo secolo, ha ricominciato ad ardere, fino a diventare una lingua parlata da milioni di persone, una lingua appartenente al quotidiano.
Un fenomeno unico che deve il suo successo essenzialmente alla ferrea volontà e alla dedizione di Eliezer Ben-Yehuda. Un personaggio davvero singolare nel contesto della vita del 1800 e primi del ‘900. Probabilmente molti conoscono il suo nome grazie a vie piuttosto centrali che sono dedicate a lui in diverse città in Israele. Eppure pochi sanno che se non fosse stato per la caparbietà e la genialità con cui si dedicò all’impresa della rinascita dell’ebraico, alcuni anni dopo la Lashon Ha-kodesh, quella che per tanti secoli era la lingua sacra, difficilmente sarebbe diventata la lingua ufficiale dello Stato ebraico, insieme all’arabo.
Nato come Eliezer Ytzhak Perlman nel gennaio 1858 a Luzhky, un villaggio della Litiuania, come molti bambini dell’epoca, iniziò a studiare l’ebraico come parte della propria educazione religiosa. Presto si distinse per gli ottimi risultati e fu avviato agli studi talmudici. Non era però interessato a tali studi e presto i suoi interessi si rivolsero ai grandi sconvolgimenti che intorno al 1848 avvenivano in Europa: con una attenzione particolare ai risvegli nazionali. Fu così che il giovane Eliezer iniziò a ragionare sul fatto che anche gli ebrei dovevano avere una loro patria, tornare alla loro terra e ricominciare a parlare la propria lingua: l’uso dell’ebraico nella visione di Ben-Yehuda, significava dare un contributo alla rinascita di un focolare ebraico. La lingua come simbolo di unità. Fu così che lasciò la Russia nel 1878 e andò a vivere a Parigi per qualche anno, dove con alcuni amici si esercitò nell’uso dell’ebraico. E per vedere realizzato il suo sogno nel 1881 giunse in Israele dall’Europa. Andò ad abitare a Gerusalemme e lì formò la sua famiglia: la prima famiglia in epoca moderna che parlava ebraico nella vita quotidiana.
Il figlio Ben-Zion in un suo scritto racconta che in casa Ben-Yehuda una sera scoppiò un violento diverbio: Eliezer tornando a casa aveva sentito sua moglie cantare per il loro bambino una ninna nanna nientemeno che in russo. In casa Ben Yehuda le regole dovevano essere chiare per tutti i componenti la famiglia: si doveva parlare, scrivere, leggere e cantare solo in ebraico. Naturalmente queste regole dovettero sconvolgere non poco la vita sociale della famiglia, ma i risultati che in tempi lunghi vennero ottenuti senz’altro furono di soddisfazione.
Fu sua l’idea di fondare l’Accademia della Lingua ebraica, una sorta di Accademia della Crusca dell’ebraico. Una istituzione che ancora oggi trova i termini per definire concetti moderni, come elettricità, giornale o “navigare in rete”. Termini che nell’ebraico biblico, la base dalla quale è risorto l’ebraico moderno, non potevano esistere.
Grazie al suo sogno, alla sua visione, oggi l’ebraico oltre ad essere parlato in Israele, è divenuto la lingua franca di molti ebrei nel mondo e viene insegnato in tutte le scuole ebraiche della diaspora.
Grazie, dunque, Eliezer Ben-Yehuda; magari da ora in poi passare per Rehov Ben Yehuda a Gerusalemme o a Tel Aviv avrà un altro sapore.

Sira Fatucci

(20 settembre 2016)