Pagine Ebraiche
David Bidussa, sul numero di settembre del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche, ha degnamente sottolineato la grande importanza della riedizione, per i tipi delle Edizioni Storia e Letteratura, a cura di Silvia Berti, di un’opera storiografica di straordinaria importanza, ossia la raccolta di saggi storici di Arnaldo Momigliano, pubblicati una prima volta, trent’anni fa, da Einaudi, e intitolata, anch’essa, “Pagine Ebraiche”: lo stesso titolo, semplice e suggestivo, del nostro giornale (al quale, mi viene da dire, ha certamente portato fortuna, come una sorta di “timbro” di serietà e coerenza).
I saggi del grande storico rappresentano un contributo di eccezionale valore alla ricostruzione della variegata realtà dell’arcipelago delle comunità ebraiche disseminate nel mondo antico (in Giudea, nell’impero romano, nelle città ellenistiche di Oriente e Occidente), la cui realtà viene esaminata, nei suoi vari aspetti (linguistici, economici, giuridici, culturali), in una ricerca di ampio fascino e di grande profondità, fondata su uno studio diretto e accurato delle fonti, che lo sudioso mostra di sapere interpretare con impareggiabile padronanza.
Quel che vorrei ricordare, in questa occasione, è che Momigliano, pur non essendo, specificamente, uno storico del diritto, ai diritti antichi dedicò gran parte della propria attenzione, ed è proprio al suo impegno, in particolare, che le discipline storico-giuridiche devono un notevole progresso e un forte rinnovamento culturale, consistente, essenzialmente, nel superamento degli artificiali steccati che, per secoli – in nome del presunto ‘tecnicismo’ del diritto -, avevano tenuto lontane e reciprocamente impermeabili la storiografia giuridica e quella cd. materiale, economica e sociale.
Ricordiamo le famose parole – che sollevarono un vivace dibattito, e non poche polemiche – che Arnaldo Momigliano pronunciò all’Accademia dei Lincei di Roma, il 18 dicembre 1963, in occasione del Primo Congresso Nazionale della Società Italiana di Storia del Diritto: “siamo qui per celebrare un avvenimento storico di qualche importanza, la fine della storia del diritto come branca autonoma della ricerca storica”, in quanto “è ormai chiaro … a quasi tutti che non c’è più modo di mantenere una distinzione tra la storia degli storici e la storia dei giuristi”. E ciò perché “il diritto, come sistemazione dei rapporti sociali a un dato livello, è incomprensibile senza un’analisi degli orientamenti sessuali, delle credenze religiose, della produzione economica e delle forze militari che caratterizzano una data società a un dato momento e si esprimono in aggruppamenti di individui e conflitti”. Considerazioni che paiono riprese e confermate, ai nostri giorni, dalle sollecitazioni, ancora più radicali, emergenti dalle pagine di un altro storico di non comune livello, quale l’israeliano Yuval Noah Harari, che – nel suo ormai celebre trattato Da animali a dèi – si chiede ancora “per quanto tempo possiamo conservare il muro che separa il dipartimento di biologia dai dipartimenti di diritto e di scienze politiche”.
Certo, alla recezione di siffatti inviti si frappongono forti e molteplici resistenze, dovute soprattutto al conservatorismo e alla perpetuazione del vigente sistema accademico e della suddivisione burocratica dei saperi. Ma se la strada indicata da Momigliano – quella di una sempre più stretta osmosi tra la ricerca storico-giuridica e gli altri tipi di indagine antichistica – non è stata ancora adeguatamente percorsa, se non in misura marginale, il suo invito al superamento di consolidate barriere torna ad apparire, ai nostri giorni, di grande attualità, nel momento che – superata, o almeno posta in discussione, l’idea di una presunta ‘superiorità’ e autoreferenzialità del diritto romano, a lungo considerato come ‘il’ diritto per antonomasia – lo studio e la conoscenza degli ‘altri’ diritti antichi – ebraico, greco, babilonese, ittita e altri – si è andata sempre più imponendo nelle Università e negli istituti di ricerca di Europa ed America. Un’avanzata e una crescita, sul piano del sapere, che a Momigliano deve molto, e che conferma in modo inconfutabile l’ineludibile necessità, da lui sottolineata, di una virtuosa sinergia tra archeologici, giuristi, linguisti, antropologi, storici delle religioni, ognuno dei quali appare chiamato ad approfondire la conoscenza di uno specifico lato di una realtà che resta comunque una e indivisibile.
Perché è questa, in fondo, quella che ci pare la lezione principale del grande ricercatore: gli uomini sono tanti, e tutti diversi, tante, e diverse, sono le loro lingue e culture, il loro essere e divenire nei vari contesti spaziali e temporali: ma il grande fiume della storia è uno solo, e chi voglia avvicinarsi ad esso, per coglierne qualcuno dei significati, deve esserne consapevole.
Francesco Lucrezi, storico
(21 settembre 2016)