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Non fermarsi a Boves

alberto cavaglionNella dimensione del piccolo si misura la statura del grande. Vorrei questa settimana portare una testimonianza in ricordo di Carlo Azeglio Ciampi. Come tutti i suoi predecessori, in prossimità di un 25 aprile, per la precisione quello del 2001, si recò in visita ufficiale a Boves, per ricordare l’eccidio nazista, ma a differenza di tutti i suoi predecessori, Pertini incluso, non volle fermarsi a commemorare soltanto le vittime dell’efferato gesto perpetrato il 12 settembre 1943 dal colonnello Joachim Peiper, che bruciò civili e sterminò anziani. In passato, quando non esisteva un Giorno della Memoria e la parola Shoah era ignota ai più, tutti i Presidenti si erano fermati a Boves come se la Storia, da quelle parti, si fosse arrestata lì. Per la prima volta nella storia repubblicana Ciampi percorse i pochi chilometri che separano Boves da Borgo S. Dalmazzo, dove in una ex caserma alpina, per volontà quasi sicuramente dello stesso Peiper, 350 ebrei “stranieri” vennero internati e poi deportati ad Auschwitz, di gran lunga il paragrafo più drammatico della Shoah in Piemonte (incredibilmente rimosso dalle istituzioni e non soltanto da loro). Due luoghi della memoria fino a quel giorno del 2001 evidentemente ritenuti di diverso peso specifico. A ripensarci oggi quel ritardo e quel silenzio durato circa mezzo secolo fanno soffrire. Per una singolare coincidenza, che qui mi fa piacere segnalare, proprio nei giorni del cordoglio per la scomparsa del Presidente, vede la luce una ricerca importante. Si tratta di un bel libro curato da Adriana Muncinelli ed Elena Fallo, Oltre il nome. Storia degli ebrei stranieri deportati dal campo di Borgo S. Dalmazzo (Editore Le Château, Aosta).

Alberto Cavaglion

(21 settembre 2016)