Il dolore
“Anche se questa non è una favola per bambini bisogna che io cominci scrivendo ‘C’era una volta’, perché era proprio una volta che c’era un bambino”.
Entrate piano, vi prego, in questo libro semplice e profondo che ancor prima di cominciare vi invita alla lentezza e all’attenzione: dalla copertina (una bella, quieta e precisa illustrazione di Mara Cerri), alla dedica (“Per i bambini che siamo stati. E per quelli che, crescendo, siamo diventati”), ai due versi del poeta polacco Zbignew Herbert (“la casa è il cubo dell’infanzia / la casa è il dado della commozione”) tutto ciò che precede l’incipit è già Un Bene Al Mondo (Einaudi).
Per recensirlo, per svolgere adeguatamente un esercizio di lettura anche su questa nuova tessera del mosaico di storie e sentimenti che Andrea Bajani va mettendo assieme da Se consideri le colpe (2007) fino a La vita non è in ordine alfabetico (2014), non c’è che leggerlo. Le parole che usa; la scansione che le distribuisce; i vuoti che genera e che riempie in uno scorrere che pare erratico e che invece conduce e sfocia – come un fiume che sa già quando è neve dove e come si confonderà in mare – sono di una semplicità che ostacola la riduzione che deve essere una recensione, ma ne favorisce il piacere della lettura.
Un Bene Al Mondo non è un libro per tutti: se avete fretta, se da un racconto volete solo trama e colpi di scena, se non amate aver la sensazione di perdervi prima di ritrovarvi, beh, lasciate stare. Se invece ve la sentite di lasciarvi avvolgere e riavvolgere – come un gomitolo di lana – , se vi va di lasciarvi andare e cercare fra le parole il bandolo della matassa, questo libro non solo vi piacerà, vi commuoverà perché siete stati bambini anche voi, e forse lo siete ancora. Mi scuso se non mi riesco a spiegare meglio, ma ogni tentativo di sintetizzare, raccontare e spiegare mi si è rivoltato contro: rileggevo e provavo la distanza fra il mio testo e quello del quale scrivevo.
Posso dirvi che, mentre leggevo – attaccato al fiato che le sue righe esprimevano, e che si facevano voce per la mia bocca, suono per le mie orecchie – i miei occhi vedevano i sentimenti e i luoghi che il bambino e il suo dolore attraversano. Incontravo sua madre, suo padre e la bambina sottile; passeggiavo nei boschi e oltre il passaggio a livello che separa il Paese; udivo le voci di chi sussurra e di chi grida; toccavo la croce di legnetti e foglie in cimitero; assaggiavo i cibi senza odore; entravo negli occhi spenti o stupefatti delle donne; mi appoggiavo sulle cuciture e fra le traversine; prendevo il treno e un appartamento in città; ero nella stanza dove, infine, l’uomo siede ogni giorno al tavolo, apre il quaderno e fa correre sulla pagina le parole. Nel suo romanzo più intimo e spudorato finora, Andrea Bajani racconta di tutti raccontando di sé: perché nessuno è senza dolore, ma tutti possono, dopo averlo riconosciuto anche negli altri, usarlo per sé.
Valerio Fiandra
(21 settembre 2016)