“I migranti hanno bisogno di noi.
Come ebrei, siamo al loro fianco”
“Qualunque cosa facciamo, non sarà abbastanza. Non potrà mai esserlo, ma per lo meno aiuterà centinaia di migliaia di persone. Dobbiamo dire ‘loro sono noi’. Se stiamo a guardare, siamo il problema. Se agiamo, siamo la soluzione”. È questo l’accorato appello a intervenire nell’emergenza dei migranti lanciato da Manfred Lindenbaum, 84 anni, sopravvissuto alla Shoah grazie a un Kindertransport che lo portò dalla Polonia al Regno Unito, sottraendolo con il fratello alla deportazione a cui andarono incontro i suoi genitori. Lindenbaum ha parlato a nome della Hebrew Immigrant Aid Society, che lo aiutò quando fu il momento nel 1946 di ricominciare da capo, e oggi cerca di fare lo stesso con i molti migranti che cercano asilo politico nel mondo, tentando di arginare la retorica xenofoba che circola nella campagna delle presidenziali americane. Per questo, l’associazione è intervenuta nei lavori del Summit delle Nazioni Unite per i rifugiati e i migranti e il quello sulla crisi dei migranti a cui il presidente Usa Barack Obama ha invitato i leader del mondo, entrambi in corso questa settimana, per spingere il governo statunitense a restare aperto nei confronti di chi cerca un luogo sicuro lontano dalla violenza e dalle persecuzioni, fornendo assistenza umanitaria e successivamente anche nel reinsediamento.
“La nostra organizzazione ha mutato la sua missione – ha sottolineato al Times of Israel il presidente della HIAS Mark Hetfield – dal prestare soccorso ai rifugiati perché sono ebrei, al prestare soccorso ai rifugiati perché siamo ebrei”. Hetfeld ha quindi osservato come quello attuale sia “un momento molto importante per riaffermare il nostro impegno per i migranti”. I dati del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite parlano infatti di più di 65 milioni di persone sfollate in tutto il mondo, di cui 21,3 milioni sono rifugiati, che fuggono cioè dal loro paese per sottrarsi a conflitti e persecuzioni, 3,2 milioni sono richiedenti asilo politico, e 40,8 milioni sono migranti, che abbandonano tutto costretti da ragioni economiche. Alla luce di questa situazione, di cui si è discusso all’Onu questa settimana, l’amministrazione Obama ha annunciato che sarà alzata del 30 percento la soglia di rifugiati ammessi negli Stati Uniti nel 2017, arrivando dunque a 110 mila. “Ogni volta che sento notizie su persone che attraversano confini – ha detto Lindenbaum – l’orrore di quel momento, l’orrore di tutto quel processo e di quello che segue, mi torna subito in mente”.
Basandosi su queste novità, così come sulla Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati dell’UNHRC (1951) e sul successivo Protocollo del 1967, creati perché nessun governo potesse negare l’asilo politico, La Hebrew Immigrant Aid Society ha deciso di mobilitarsi al fine di sensibilizzare la comunità internazionale. Nella pratica, questo si è tradotto nella HIAS Welcome Campaign, che mobilita a livello nazionale, a partire dalla società civile, le organizzazioni ebraiche e le Comunità, per fornire una risposta concreta alla crisi. E sono circa 200 sinagoghe e 1300 rabbini ad aver già risposto all’appello, proponendo iniziative educative e informative sull’argomento, di attivismo politico, di foundraising, e addirittura, in alcuni casi, di accoglienza di rifugiati in seno alle loro stesse comunità.
Decisiva per la HAIS è stata la percezione che la comunità internazionale abbia preso consapevolezza delle dimensioni della crisi e della necessità di aiutare, ma che allo stesso tempo vi sia comunque un sentimento di timore nei confronti dei migranti legata ai numerosi episodi di terrorismo negli ultimi mesi e alle politiche e alla retorica che promuovono xenofobia e islamofobia. Dopo gli attacchi di novembre a Parigi, ha sottolineato ad esempio Hetfield, sono stati 31 i governatori Usa a dichiarare che avrebbero chiuso i confini dei loro Stati. “Il programma per i rifugiati è stato interamente politicizzato nel paese – le sue parole – e come se non bastasse, essi sono un bersaglio facile, perché nessuna lobby difende i loro interessi”. “Io sento solo che non si fornirà mai abbastanza sostegno a queste organizzazioni”, osserva dal canto suo Lindenbaum. “Noi ebrei – conclude – abbiamo un obbligo speciale di parlare per i migranti”.
f.m. twitter @fmatalonmoked
(23 settembre 2016)