cocci…
Perché, non appena entra in Eretz Israel, il popolo ebraico deve recarsi a Shechém per stipulare, con una articolata cerimonia, un patto di corresponsabilità?
Shechèm è il luogo dove i padri delle Tribù di Israele si sono deresponsabilizzati per la prima volta, vendendo Yosef, “sollevandosi di dosso” – nel linguaggio di Rashì – il concetto di fratellanza. Hanno umiliato e svenduto un fratello lasciando che passioni e ambizioni personali prevalessero sulla scommessa di costruire assieme un progetto comune nel rispetto delle differenze. Sarà proprio questo primo fallimento comunitario a condurci in esilio in Egitto.
Per questo motivo, prima di cominciare una nuova vita comunitaria, i discendenti di quei Padri del nostro popolo devono tornare in quel luogo, a Shechèm, e fare i conti con il tema della responsabilità per l’altro. In molte culture l’inizio di un nuovo anno è segnato dall’uso di gettare “cocci” dalle finestre, e in senso metaforico di “liberarsi” di pesi e cose vecchie.
Il Talmùd ci insegna, viceversa, che anche i “cocci” hanno un loro valore. I frammenti rotti delle prime Tavole dovranno essere conservati nell’Arca accanto alle Seconde Tavole nuove, come se da quel momento ogni ebreo dovesse portare dentro di sé anche i pezzi rotti della Torà. Non ci si salva con la rimozione, e neppure con il rancore. Per affrontare il nuovo bisogna farsi carico dei “cocci” che ci portiamo dentro e accettare con umiltà e flessibilità la scommessa di ricomporli e di rimetterli assieme.
Roberto Della Rocca, rabbino
(27 settembre 2016)