Qui Roma – Ai confini della traduzione

img_2220-1 Si è concluso ieri dopo due giornate intense e stimolanti il convegno “Yafet nelle tende di Shem. L’ebraico in traduzione”, ideato e organizzato da Raffaella Di Castro al Centro bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Numerosi gli interventi che hanno analizzato il complesso tema della traduzione dei testi sacri, guardando a esso attraverso prospettive storiche e geografiche, religiose, filosofiche, sociologiche e linguistiche, approfondendo così il tema della Giornata Europea della Cultura Ebraica, quest’anno dedicata a “Lingue e dialetti ebraici”, e gli stimoli suscitati dalla pubblicazione del primo trattato del Talmud babilonese in italiano.
Ad aprire l’ultimo pomeriggio del convegno alcune “Letture di testi biblici e talmudici” sul tema, presentate dallo scrittore Stefano Levi Della Torre e dal preside della Scuola ebraica di Roma rav Benedetto Carucci Viterbi, moderati dal coordinatore del Collegio Rabbinico Italiano Gianfranco Di Segni. “La Torre di Babele, dalla lingua divina alla creazione umana delle lingue” il titolo dell’intervento di Levi Della Torre, il quale ha osservato tra le altre cose come il linguaggio sia specchio della capacità dell’uomo di internedere il mondo, ma anche come essa trovi proprio nella lingua una gabbia, e dunque il suo limite. “In questo modo – ha sottolineato lo scrittore – la Torah ci avverte che le cose più meravigliose, come il linguaggio, hanno anche una parte negativa”.
La riflessione di Carucci ha invece tratto spunto da un versetto del Talmud, “Mi sei destinata a condizione che io sia un lettore…” (Talmud Babilonese, Qiddushin 49a). Un passo che fornisce una definizione precisa di cosa sia un lettore, una abilità che per la tradizione ebraica va di pari passo con quella di traduttore. “Il testo – ha spiegato il rav – pone due importanti paletti, insegnando da un lato che vaneggia chiunque dica che esiste la traduzione letterale, e dall’altro che tuttavia anche nell’interpretazione non è possibile aggiungere qualunque cosa venga in mente, ma deve esserci comunque un criterio”.
Il compito di chiudere il convegno è spettato infine al germanista Massimiliano De Villa (Istituto italiano di studi germanici) e alla filosofa Irene Kajon (Università di Roma La Sapienza), protagonisti di una sessione sulle “Traduzioni tedesche della Bibbia” moderata da Roberta Ascarelli. De Villa si è concentrato sulle traduzioni della Bibbia di Martin Buber e Franz Rosenzweig, da lui definite “estreme”. “Per restituire il colore originario del suono della lingua di partenza – ha infatti spiegato – hanno sospinto il tedesco quasi ai limiti del dicibile, forzando il testo allo scontro con i propri limiti”. Buber è stato l’oggetto anche delle riflessioni di Kajon, che l’ha invece messo a confronto come traduttore e interprete dei salmi con Moses Mendelssohn, analizzando analogie e differenze. “Mendelsshon – ha spiegato – è il rappresentante di un ebraismo che aspira ad entrare a far parte della storia della cultura mostrando l’universale valore umano delle sue fonti peculiari, mentre Buber di un ebraismo che trova nelle sue fonti peculiari elementi diversi rispetto a quelli presenti nella storia della cultura”.

f.m. twitter @fmatalonmoked

(30 settembre 2016)