Qui Torino – “Spirito e materia, anima e corpo
Un dualismo che non è dualismo”
Anima e corpo. La teologia dell’uomo e la teologia degli animali nella tradizione ebraica. Una sala gremita attendeva il rav Roberto Della Rocca, direttore della Formazione e della Cultura all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, per una delle conferenze centrali del festival Torino Spiritualità, che si svolge nel capoluogo piemontese fino alla conclusione della settimana. Organizzato in collaborazione con la redazione del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche, l’incontro prevedeva un confronto fra il rabbino italiano e l’anziano teologo piemontese Paolo De Benedetti attorno ai temi dell’edizione di quest’anno del prestigioso festival culturale, che riconducono tutti al rapporto fra mondo umano e mondo animale.
De Benedetti, che non ha potuto in effetti intervenire a causa delle sue gravi condizioni di salute, ha consegnato al direttore della redazione giornalistica dell’Unione Guido Vitale una sua testimonianza letta al pubblico presente e riprodotta in parte in coda a questo resoconto.
Il rav Della Rocca, interrogato dalla giornalista Ada Treves, ha poi affrontato in un insegnamento complesso e appassionante, il tema della relazione fra la fisicità e la spiritualità secondo la Tradizione ebraica.
“La storia della creazione del mondo nel libro della Genesi – ha esordito – ci può dare una prima indicazione di come sia considerata la corporeità nell’ebraismo. Il corpo umano non viene né divinizzato, né rinnegato. Il corpo dell’uomo è costituito dalla terra, da cui deriva anche il nome del primo uomo, Adamo. Adamàh è quella parte della terra che è fertile, coltivabile, il suolo, la polvere della terra che si può raccogliere e con cui si può impastare una statua. L’immagine biblica è proprio quella di una statua che prende vita grazie al soffio (rùach, lo spirito) dell’Eterno”.
“Esiste una correlazione di un certo tipo tra spirito e materia, cielo e terra, creazione del mondo e creazione dell’uomo: la terra, il corpo dell’uomo, quell’aspetto per cui gli uomini sono creature fragili, destinate a tornare alla polvere, è propriamente il contenitore di quello che in noi è sacro, lo spirito divino. Non che la terra rappresenti la negatività: tutto il creato è cosa buona (tov), e l’uomo è molto buono (tov me’od)”.
“Il corpo – ha aggiunto – non è nemmeno considerato come una prigione dell’anima, come per il greco Platone; il mondo corporeo è piuttosto paragonato ad un palazzo dove abita il Signore. Infatti, il corpo è il luogo dove sta il soffio dell’Eterno, e l’uomo è creatura divina. I nostri Maestri dicono che ogni uomo ha tre genitori, il padre, la madre e Dio. Quindi il corpo umano va custodito con cura. Non è un caso che molti rabbini fossero anche medici”.
“Spirito e materia, anima e corpo. Un dualismo che non è dualismo, e che non può essere posto in parallelo con il bello e con il brutto, e soprattutto con il buono e con il cattivo”.
“L’uomo è unitario, per l’ebreo, e ogni uomo ha una sua specificità (ognuno vale quanto il mondo, e uccidere un uomo è come distruggere il mondo intero …). I nostri Maestri esprimono efficacemente questo concetto affermando che l’uomo, per alcuni versi, assomiglia nella sua materialità a una bestia. Come l’animale egli mangia, beve, si accoppia, prolifica, emette i suoi bisogni e infine muore. Ma l’uomo assomiglia anche agli angeli del servizio divino: cammina su due piedi come loro, vede come loro, parla come loro e possiede la conoscenza come loro. Ma l’uomo è pur sempre un essere a sé, non s’identifica né con l’animale, né con l’angelo. Non è materia o spirito, perché c’è spirito nella sua materialità e materia nella sua spiritualità”.
“Il concetto che indica l’unitarietà dell’essere umano e l’interezza della persona è espresso dalla parola ebraica nefesh. L’anima spirituale, neshamà, è pura, donata dal Creatore e sta a ciascun’individualità mantenerla in stato di purità, attraverso la consacrazione (kedushà) d’ogni momento della vita. Nella struttura materiale del corpo umano è stato soffiato lo spirito (rùach) del Signore, e così la sua anima (neshamà), l’anima pura, è diventata un’unica personalità vivente (nefesh). Così la Tradizione ebraica considera l’uomo, e lo studio e la pratica dei precetti hanno lo scopo di aiutarlo a prendere coscienza di questa sua realtà unitaria”.
Moltissimi poi gli spunti emersi nel corso dell’incontro e gli esempi tratti dalle Scritture, o sollevati dalle domande che sono emerse.
Prima dell’intervento del Rav, in un’atmosfera di grande concentrazione e commozione, il pubblico ha ascoltato la testimonianza di Paolo De Benedetti.
“D. è creatore: Egli – si legge nel testo raccolto dalla sua voce – fa sorgere dal nulla l’essere di tutto ciò che esiste. L’esserci rappresenta nello stesso tempo l’esistenza di D. e la nostra. L’uomo ha bisogno di D., ma D. ha bisogno dell’uomo.
Ecco perché il rapporto reciproco D.-Uomo e viceversa è la base del creato.
D., in quanto creatore, ha sentito infatti la necessità di fare in modo che il suo rapporto con il Creato sia condiviso con l’uomo. Per questo motivo il creato rimane l’unico autoritratto di Dio.
“Per questo il Creatore, proprio come creatore, è presenza divina e umana nell’uomo e nella vita di tutto ciò che esiste. Ed è con questo atto che D. apre la porta dell’Eternità a tutte le creature. Il loro grazie è contenuto nel “Canto dell’Universo” del Péreq Shira”.
“L’anima è la vita. E dunque tutto ciò che ha vita ha – se così si può dire – anima.
Nel coro di tutte le creature l’uomo raggiunge il più elevato dei cieli, ma sente il bisogno di non essere solo nel suo rapporto con D.: e tutte le creature non lo lasciano solo, non nella lode, non nella sofferenza, non nel loro destino eterno.
Per questo non è possibile che la morte vinca la vita, e per questo occorre pensare che in tutto il Creato ciò che muore risorga. (…) La Resurrezione, come ha insegnato il Maimonide, è un elemento della fede ebraica: i morti, in futuro, torneranno alla vita”.
(30 settembre 2016)