ORIZZONTI Un dizionario per l’Yiddish del XXI secolo

dizionario-yiddishOltre 800 pagine, 50mila voci, 30mila sotto-voci, per un’opera che non conosce pari negli ultimi 50 anni: un nuovo dizionario inglese-yiddish. Il volume è uscito lo scorso giugno per la Indiana University Press (copyright della Yiddish League). A curarlo, la giornalista e poeta Gitl Schaechter-Viswanath (nell’immagine) e Paul Glasser, già rettore dello YIVO Institute for Jewish Research, uno dei più importanti centri depositari della cultura, tradizioni e folklore di quella che fu la lingua ebraica dell’Est Europa, parlata prima della Seconda Guerra Mondiale da 11 milioni di persone. Un mondo quasi interamente spazzato via dalla Shoah, oggi rappresentato da alcune centinaia di migliaia di ebrei prevalentemente haredim negli Stati Uniti e in Israele, oltre a studiosi, appassionati, persone che scelgono di tramandare la conoscenza dell’idioma che prende a prestito molto dal tedesco e si scrive in lettere ebraiche per custodire gelosamente il proprio retaggio familiare. Certo, nel 2016 è difficile parlare una lingua che non contiene vocaboli come email, computer, laptop. Come succede in molti altri casi, una soluzione è prenderli semplicemente in prestito dall’inglese. Eppure, nota Glasser parlando con il New York Times, che ha pubblicato in questi giorni una approfondita presentazione dell’opera nelle sue pagine culturali, “nel lungo termine, se continui a prendere in prestito dall’inglese, finirai per parlare in inglese”.
E così, nel “Comprehensive Dictionary English-Yiddish”, la posta elettronica diventa “blitspost”, fusione delle parole lampo e posta, lo smartphone “klugmobilke” (ma mantiene anche la dicitura “smartfon”) e così via.
Il vocabolario utilizza anche il lavoro metodologico e l’esperienza di Mordkhe Schaechter, il padre di Schaechter-Viswanath, che fu linguista e docente alla Columbia University. Come rifugiato nei campi profughi a Vienna dopo la guerra, percepì la mortale ferita che l’Yiddish aveva subito con lo sterminio di sei milioni di ebrei e cominciò a registrarne le parole, compilando migliaia di schede. Negli anni successivi, proseguì intervistando la popolazione di lingua yiddish in America. Anche prima della morte del padre nel 2007, Schaechter-Viswanath aveva cominciato ad attingere e verificare i vocaboli contenuti in quelle decine di scatole, che si sono rivelati un apporto fondamentale, insieme alle 20mila definizioni proposte dal vocabolario compilato nel 1968 da Uriel Weinreich, un collega di Schaechter, per la nuova pubblicazione.
Un lavoro per assicurare un futuro all’yiddish. Perché anche all’epoca degli smartphone, una lingua che non può evolversi, riflettere su se stessa, ed essere esplorata su un dizionario, rischia di rimanere irrimediabilmente parte di un’epoca remota.

Rossella Tercatin