Periscopio
Shimon Peres

lucrezi La straordinaria carriera politica di Shimon Peres è stata adeguatamente celebrata sui media di tutto il mondo, nonché sulle colonne di questa newsletter. La sua figura resterà per sempre, senza dubbio, nei libri di storia, ed è certamente una contraddizione che fa riflettere il fatto che l’intero mondo si sia inchinato innanzi a colui che è stato il presidente e uno dei padri nobili di uno Stato verso cui il mondo si è tanto spesso dimostrato così profondamente e irriducibilmente ostile. Certo, l’omaggio a Peres non va inteso automaticamente come un omaggio a Israele, ma piuttosto una sorta di desiderio, di sogno, di nostalgia: il desiderio di una realtà diversa, il sogno di una pace irraggiungibile, la nostalgia di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. Ma tant’è.
In questo momento, l’unica annotazione che vorrei fare non è sul profilo dello statista e sui risultati da lui raggiunti o mancati, ma solo sul suo profilo umano. Ho avuto il privilegio di salutarlo personalmente in due occasioni, a distanza di parecchi anni l’una dall’altra, e mi colpì, entrambe le volte, il suo tratto e il suo contegno, che sono poi gli stessi che traspaiono dalle foto e dai filmati che lo ritraggono nelle tante occasioni pubbliche della sua lunga vita, così come anche nei momenti più intimi e privati. Un tratto e un contegno contraddistinti da cordialità, serenità, apertura umana, ma anche un po’ di distacco e freddezza. Peres appariva sempre segnato da un grande autocontrollo, non pareva mai trascinato o sopraffatto dalle emozioni e dai sentimenti. Eppure era un uomo tutt’altro che freddo, anzi. Parole come ‘sogno’, ‘speranza’, ‘futuro’ ricorrono costantemente nei suoi discorsi, nei quali qualsiasi problematica del presente veniva sempre inserita in un quadro più ampio, in un disegno capace di valicare il tempo e lo spazio. Non parlava solo del suo Paese e dei suoi scomodi vicini, ma di tutto il mondo, non solo degli anni in cui viveva, ma anche di quelli avvenire. Era un grande sognatore, un grande immaginatore. Ma i suoi sogni e la sua immaginazione parevano saldamente intrecciati con una lucida e ferma razionalità, e ciò sembrava trasparire esattamente dal suo sguardo, dal suo comportamento. Non ricordo di avere mai visto una sola immagine che lo ritraesse in preda alla collera o alla rabbia, o impegnato in una risata liberatoria. Il suo volto era sempre serio, lieto o corrucciato, mai adirato, né particolarmente allegro. Lontano dagli estremi, pur avendo egli vissuto in una terra e in un tempo profondamente segnati dagli estremi. E lontanissimo dalle smorfie deformate, le boccacce, i ghigni feroci, gli sguardi iniettati di sangue di tanti leader europei che oggi vanno per la maggiore.
Il famoso umorismo ebraico, com’è noto, è soprattutto una risposta alle sempre incombenti tragedie. Ma Peres non appariva uno da barzellette, non era il tipo a cui raccontare una storiella, la sua maschera non era da commedia, né da tragedia. Aveva piuttosto il profilo del filosofo, dello scienziato, del predicatore. E, in fondo, è stato anche tutte queste cose.
In ogni momento della sua vita, dava sempre l’idea di volare in alto, di vedere al di là. Il tributo dei potenti della terra innanzi alle sue spoglie non lo avrebbe impressionato, perché sarebbe già stato impegnato a pensare ad altro, a cercare nuove soluzioni e a perlustrare nuovi orizzonti. Così come non gli avrebbero fatto un baffo i gruppetti di miserabili che, in tanti posti, hanno brindato alla sua morte o hanno bruciato le sue immagini, insieme alla bandiera del suo Paese. Anche questi gesti, in fondo, contribuiscono a fare capire chi è stato Peres, e chi sono loro.

Francesco Lucrezi, storico

(5 ottobre 2016)