…identità

Registro una crescente voglia di escludere, di considerare al di fuori del proprio gruppo religioso, etnico, sociale o politico chi non si allinea a un’identità consolidata. Un’identità tuttavia spesso falsata, precostituita e imposta, che magari tradisce una storia e una tradizione che si pensa in buona fede di difendere. Capita anche fra ebrei, tutto il mondo è paese. Ma nell’ebraismo la figura dell’altro, del diverso, non solo è ben presente ma è spesso specchio necessario per costruire un’intera tradizione. Nel Talmud, ad esempio, che ci onoriamo di vedere tradotto ora in italiano con un’operazione culturale tanto complessa quanto utile, compare la figura di Elisha Ben Abuya, un maestro che si allontana dalla retta via tanto da violare lo Shabbath; lo fa cogliendo un fiore per donarlo a una prostituta, la quale per questo motivo lo definisce “altro”, ponendolo al di fuori del gruppo ebraico. Ma si tratta di un “altro” che rimane ben presente, e che discute con il suo discepolo dall’interno la sostanza della legislazione ebraica, tanto che il Talmud non solo non lo nasconde, ma si avvale della sua presenza per affermare la corretta giurisprudenza. L'”altro” è necessario alla tradizione ebraica, e lo è in molte altre occasioni nella storia, da Gesù a Spinoza a Shabbatay Zevi. Nella modernità le cose si fanno un po’ più complicate, perché non è più data una sola identità ebraica, ma un poliedrico affermarsi di realtà che esistono e si strutturano spesso nonostante l’ostilità o l’indifferenza altrui. Oggi non si può più affermare – come troppo spesso sento dire – “quelli non sono mica ebrei”. Chi lo fa non si rende conto di porsi al di fuori di una lunga tradizione proprio nel momento in cui afferma un’idea che è innanzitutto poco rispettosa della storia, oltre che delle legittime aspirazioni di singoli e di gruppi che interpretano a loro modo una tradizione millenaria.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(7 ottobre 2016)