ORIZZONTI Ritratto dell’Islam di Francia Tra integrazione e radicalismi

istitut-montaigneChi sono i musulmani francesi? Quale rapporto hanno con la loro religione? Quali sono le credenze condivise dalla maggioranza? Dopo un anno difficile segnato dalla violenza fondamentalista e con un’elezione cruciale alle porte, sono domande nella testa di tutti i francesi e al centro del dibattito politico, sempre più concentrato sulla creazione di un “Islam di Francia”. A cercare di dare una risposta in qualche modo basata su dati reali, è stato il think-tank Institut Montaigne, che ha pubblicato un sondaggio intitolato “Un Islam francese è possibile”, a cura di Hakim El Karoui, in queste settimane al centro del dibattito. A far discutere è di certo la proposta di alcune linee guida per la creazione di tale Islam francese, ma soprattutto la rivelazione stessa di alcuni dati sociologici sulla realtà islamica del paese. Si tratta di una delle rarissime fotografie disponibili, dal momento che le indagini sociologiche su base etnica o religiosa sono vietate per legge. Il ricercatore El Karoui ha dunque aggirato l’ostacolo, svelando innanzi tutto che i musulmani sarebbero meno del previsto – 3-4 milioni invece che 5-7 milioni –, molto giovani – l’età media è di 35,8 anni – e spaccati tra una maggioranza che desidera vivere nel rispetto delle leggi della République e un gruppo più piccolo che invece si può definire fondamentalista, che non vede questa conciliazione possibile e che numericamente non è trascurabile, poiché tocca il 28 percento, con picchi del 50 tra i giovanissimi. Su questo si è naturalmente concentrato il dibattito sulle pagine dei giornali, ma prima ancora di dividersi su quali siano i risvolti di questo dato, la constatazione dell’importanza della pubblicazione dello studio da parte dell’Institut Montaigne trova tutti i commentatori pressoché unanimi.
“I risultati di questa ricerca sono sconvolgenti, poiché essa si addentra per la prima volta nella nebbia”, osserva ad esempio su Slate.fr Eric Le Boucher, giornalista tra i fondatori della testata. “Dal momento che le statistiche su base etnica sono vietate in Francia – le sue parole – non abbiamo a disposizione nessuna ‘cratografia’ dei musulmani. La scienza è annacquata, la conoscenza è nulla, ci si rimette all’intuizione e all’ideologia”. Un problema che ha anche influenzato secondo lui il modo di pensare dei francesi, spesso imbevuto di preconcetti, e dunque questo studio dovrebbe “come minimo condurre al lancio di altre inchieste dello stesso tipo per contestarla, sostenerla, aggiungervi precisazioni, e poi anche a una revisione considerevole delle politiche pubbliche”.
Lo studio divide i musulmani francesi in tre gruppi. “Mentre oggi – scrive El Karoui – i discorsi sull’Islam e la sua immagine sono largamente fabbricati dai sostenitori di un Islam rigorista, nella loro maggioranza i musulmani di Francia non si sentono tuttavia rappresentati da questo essi”. È questa quella che lui chiama la “maggioranza silenziosa”, pari al 46 percento del campione, la quale vive secondo un sistema di valori conforme a quelli della società francese, contribuendo a farla evolvere con il suo apporto specifico. Vi è poi un 25 percento con una visione intermedia, che si definisce cioè prima di tutto come musulmano, rivendica con fierezza la propria appartenenza religiosa e il diritto di esibirla in pubblico, ma rispetta comunque le leggi e la laicità dello Stato. Infine, un terzo gruppo pari al 28 percento degli intervistati comprende quelli che lo studio chiama musulmani “autoritari”. “Sono per lo più giovani – si legge – con un basso livello di istruzione e poco inseriti nel mondo del lavoro. Vivono nei quartieri popolari periferici delle grandi città. Questi gruppo si definisce in primo luogo per l’uso che fa dell’Islam come simbolo della propria rivolta nei confronti del resto della società francese, caratterizzato esclusivamente da un forte conservatorismo”. Sono questi quelli che vengono chiamati “fondamentalisti” e “secessionisti”, e la loro percentuale sale notevolmente tra i giovani compresi nella fascia di età tra i 15 e i 25 anni, raggiungendo il 50 percento.
Su questo sono stati interpellati molti esperti. Le Monde ha sottoposto alla sua redattrice esperta di religioni Cécile Chambraud, sottoponendole le domande dei lettori. La quale, se sull’importanza di pubblicare sondaggi di questo genere non ha dubbi, rimane cauta nell’allarmismo relativo a quest’ultima questione: “Dire che la pratica di una parte dei giovani musulmani si oppone ai valori della Repubblica fa parte dell’interpretazione dei dati dell’inchiesta realizzata dall’Institut Montaigne. Esiste senza dubbio il diritto di contestarla, ma la realtà di questa pratica religiosa è, invece, un dato di fatto”. E del resto, aggiunge, “il sociologo delle religioni Philippe Portier ha dimostrato come l’aumento di religiosità sii ritrovi anche tra i cattolici e tra gli ebrei da qualche decennio a questa parte”.
Molto meno tranquillo si è detto Le Boucher, il quale invece vede in questi dati un campanello d’allarme che suona da tempo e che tuttavia la Francia ha troppo a lungo voluto ignorare. “I giovani delle banlieue si rivoltano? Nulla di nuovo. Salvo che i comportamenti di radicalizzazione di questi giovani musulmani – spiega – dimostrano che non va affatto meglio con il tempo. Ragioni esterne – paesi arabi schiacciati dal giogo delle grandi potenze occidentali, il conflitto israelo-palestinese – così come ragioni interne – il fallimento delle scuole, la discriminazione nel mondo del lavoro e la disoccupazione di massa – , tutto agisce per fare aggravare la situazione”.
Il problema è dunque secondo lui legato anche a un insieme di politiche pubbliche sbagliate dal governo francese nel corso degli ultimi anni, da lui giudicate non solo insufficienti, ma anche controproduttive. È il caso ad esempio dell’aumento delle misure di sicurezza, ma il caso più emblematico è per Le Boucher costituito dal divieto di portare il velo in luoghi pubblici, come a scuola, istituito dodici anni fa. Lo studio dell’Instutut Montaigne riporta che “circa il 60 percento degli intervistati considera che le ragazze dovrebbero poter portare il velo al liceo o al collège”, e che “contrariamente all’opinione dominante che vorrebbe gli uomini più conservatori, il velo è rifiutato dal 26 percento degli uomini ma solo dal 18 percento delle donne, testimoniando una adesione ideologica di una parte importante della popolazione femminile”. In questo senso, per il giornalista, il velo è dunque diventato “uno strumento di rivolta o, più pacificamente, il vessillo di una ‘fierezza islamica’. In questo quadro, si intuisce come il divieto rafforzi la volontà di indossarlo”.
Per sanare il divario tra l’ideologia religiosa di una fetta comunque considerevole della popolazione musulmana e i valori della Repubblica, tra le linee guida messe insieme da El Karoui c’è l’istituzione di un grande imam di Francia, un’autorità simile al gran rabbino di Francia o al presidente dell’assemblea dei vescovi di Francia. Un’idea tuttavia contestata da molti imam francesi, intervistati sul quotidiano Le Figaro. Per l’imam di Bordeaux Tareq Oubrou si tratta ad esempio “idealmente” di un pensiero giusto, ma con qualche dubbio su come metterlo in pratica. Decisamente contrario è invece il rettore della moschea di Parigi Dalil Boubakeur: “La bellezza dell’Islam – le sue parole – consiste proprio nell’assenza di un’autorità religiosa unica che possa interferire con la libertà religiosa”.

Francesca Matalon