Tra due Nobel

anna segreStrana giornata quella di giovedì, tra il cordoglio per la scomparsa di un Premio Nobel per la letteratura e la gioia per l’arrivo di un altro. Come le partite di calcio tra Israele e Italia, anche i premi Nobel sono una bella sfida identitaria per noi ebrei italiani, che siamo orgogliosi sia per quelli assegnati agli ebrei sia per quelli assegnati agli italiani. Per un’insegnante di lettere come la sottoscritta, poi, i premi Nobel per la letteratura sono una sfida particolarmente appassionante: da una parte la lingua italiana, la tradizione letteraria con cui ogni giorno mi confronto e su cui mi confronto con i miei allievi, dall’altra l’identità ebraica fatta di tradizioni, valori, vicende famigliari, un’impressione di vicinanza forse meno definita ma più pervasiva. Per fortuna, a differenza delle partite di calcio, i premi Nobel non sono sfide dirette e si può gioire per uno e contemporaneamente sperare che un altro arriverà l’anno prossimo. Nel 1997 ho gioito per il Nobel a Dario Fo, oggi sono felice per Bob Dylan e l’anno prossimo proseguirò nel mio tifo per Philip Roth.
Il premio Nobel a Dario Fo nel 1997 mi aveva fatto molto piacere anche perché l’avevo percepito (e così spesso l’ho presentato agli allievi) come il premio dato a un’intera tradizione italiana, da Plauto alla Commedia dell’Arte passando naturalmente per i giullari. Purtroppo negli ultimi tempi la mia passione per Fo si era un po’ raffreddata di fronte al confine troppo palesemente varcato tra antisionismo e antisemitismo.
Anche il premio Nobel a Bob Dylan è il premio a una tradizione in cui in qualche modo mi riconosco, anche se non so fino a che punto sarei capace di andare a cercare questo o quel tema ebraico tra le righe delle sue canzoni: la letteratura non si lascia ridurre a tanti piccoli cassetti identitari incomunicabili tra loro, e un tema che suona ebraico (tanto per dirne uno, il primo che mi viene in mente: la colomba che non trova riposo di cui abbiamo appena letto nelle selichot di Kippur) potrebbe essere arrivato nel testo di Blowin’ in the Wind rimbalzando attraverso secoli di letteratura cristiana.
Peraltro, come è stato ampiamente notato da più parti, i premi Nobel per la letteratura a Fo e a Dylan hanno in comune un elemento importante: in entrambi i casi il concetto stesso di letteratura è stato allargato, includendo qualcosa che prima veniva escluso e conferendo dignità a qualcosa che prima era considerato semplice intrattenimento. In entrambi i casi è stata premiata la capacità di varcare il confine tra alto e basso, di capire che gli insegnamenti più rilevanti si possono trasmettere anche ridendo e cantando: come in una recita di Purim, in un seder di Pesach o in un pranzo di Shabbat.

Anna Segre, insegnante

(14 ottobre 2016)