La retorica di Donald Trump e i suoi follower antisemiti
Tutti concordi, anche in Israele: l’ultimo dibattito televisivo tra i candidati alla presidenza Usa Donald Trump e Hillary Clinton, è stato vinto da quest’ultima. Da Yedioth Ahronoth fino a Haaretz, passando per i commentatori di Galei Zahal (la radio dell’esercito israeliano), i diversi analisti sottolineano che l’ultimo confronto è stato il più interessante grazie anche al giornalista di Fox News Chris Wallace, ebreo e figlio del leggendario reporter del programma 60 Minutes Mike Wallace. Chemi Shalev di Haaretz, come i colleghi d’oltreoceano del Washington Post e del New York Times, spiega che Trump è andato meglio nella prima parte del dibattito, quando è riuscito ad essere più controllato e rassicurante, sembrando più presidenziale. Poi Trump, come scrive il vicedirettore del Post Francesco Costa, ha fatto il Trump e il suo aggressivo narcisismo ha preso la meglio. Il candidato repubblicano si è spinto fino a rifiutare di impegnarsi a riconoscere il risultato che verrà fuori dalle urne il prossimo 8 novembre (data delle elezioni americane). Una retorica che fa il paio con l’uscita degli scorsi giorni in cui il candidato repubblicano parlava di presunti “poteri forti” che, attraverso Clinton, pianificherebbero la distruzione degli Stati Uniti. “Hillary Clinton si è incontrata in segreto con le banche internazionali per pianificare la distruzione della sovranità americana, arricchire i poteri della finanza globale così come i suoi amici e i suoi donatori”, la filippica complottarda di Trump, denunciata poco dopo dall’Anti-Defamation League, organizzazione che si batte contro l’antisemitismo. Trump “dovrebbe evitare la retorica e le metafore usate storicamente contro gli ebrei e che ancora oggi fomentano l’antisemitismo”, il monito di Jonathan Greenblatt, direttore dell’Adl, che ha sottolineato come le accuse cospirazioniste del magnate siano simili ai deliri presenti in libelli come i Savi anziani di Sion. E ancora nelle scorse ore l’Adl ha pubblicato un’indagine strettamente connessa alla campagna elettorale 2016 e in particolare a quella di The Donald: sui social network tra l’agosto 2015 e il luglio 2016 gli attacchi antisemiti sono letteralmente esplosi. La task force formata da esperti dell’Adl ha registrato nell’arco di questo tempo, 2,6 milioni di tweet a carattere antisemita. Molti di questi cinguettii erano diretti da sostenitori di Trump a giornalisti che l’avevano più o meno criticato.
Nella relazione si sottolinea che questi dati non implicano il fatto che Trump sia antisemita – per smentire chi lo accusa di antisemitismo il magnate ha ricordato che sua figlia si è convertita all’ebraismo – ma che alcuni dei suoi followers lo siano. In particolare l’indagine si è concentrata su 19.253 tweet antisemiti pubblicati contro diversi giornalisti americani: secondo la relazione più di due terzi dei questi tweet provenivano da 1600 profili ben precisi. E, andando ad analizzare le bio scritte in questi ultimi, venivano fuori molto spesso le parole “Trump”, “nazionalista”, “conservatore”, “bianco”.
“Il picco di odio che abbiamo visto online in questo ciclo elettorale è estremamente preoccupante e diverso da qualsiasi cosa che abbiamo visto nella politica moderna. Mezzo secolo fa, il Kkk bruciava le croci. – ha ricordato il direttore dell’Adl Greenblatt – Oggi, gli estremisti stanno cercando di mettere a ferro e fuoco Twitter”.
Daniel Reichel
(20 ottobre 2016)