Il commissario Daquin
Théodore Daquin è un poliziotto tosto. Un cacciatore, nella vita privata come nel mestiere. Ha un fisico che si fa notare, un cervello duttile e l’abitudine di non mollare mai. I due romanzi noir che mi hanno preso gli ultimi giorni come non mi capitava da parecchio si intitolano Il sentiero della speranza e Oro nero; entrambi pubblicati da Sellerio, sono rispettivamente usciti in Francia nel 1995 e nel 2015, ma già Marco Tropea Editore aveva fatto conoscere al pubblico italiano il talento di Dominique Manotti.
Nata a Parigi nel 1942, prima di esordire a cinquant’anni come scrittrice, è stata sindacalista e professoressa universitaria di Storia Economica. Ed è infatti la notevole abilità nel maneggiare anche gli aspetti meno noiosi della ‘scienza triste’ a fornire ai lettori – insieme a una conoscenza approfondita del suo paese – un’occasione per imparare qualcosa, divertendosi. Manotti mescola fatti e nomi presi dalla cronaca (da Mitterand a Ali Agca, dall’Opec al Mossad) con trame e personaggi ordinari che ci sembra di conoscere già. Il suo commissario Daquin è il protagonista – oltre che dei due citati – di altri tre romanzi noir, o meglio, polar, come li chiamano in Francia. (In sola edizione Kindle, a meno di due euro, c’è anche un racconto di 27 pagine, Libera concorrenza)
Con uno stile serrato, coinvolgente, che obbliga il lettore a non chiudere il libro – o a tornarci appena possibile -, le indagini narrate aprono squarci sociologici e geopolitici che difficilmente sarebbero alla portata del lettore non specializzato. Nel caso di Il Sentiero della Speranza, per esempio, l’immigrazione turca a Parigi degli anni Ottanta, e i commerci di abiti sono lo sfondo di una storia nella quale le lotte sindacali per la legittimazione dei lavoratori si mescolano con la più raffinata e perversa criminalità di finanzieri, politici e accademici al di sopra di ogni sospetto. In Oro Nero, ambientato in una Marsiglia le cui stradine intricate sono la mappa di rapporti ancora più complessi, sono il traffico di petrolio e di armi a fornire il paesaggio per un’indagine sui rapporti stretti che la finanza internazionale mantiene con gli Stati, e soprattutto con i loro servizi segreti. Ma, se fosse tutto qui, i libri della Manotti sarebbero soltanto un altro esempio di thriller economico, come ne abbiamo letti tanti; è la cura del linguaggio, la capacità artigianale di scolpire i personaggi, l’abilità di mostrare e nascondere il suo vero talento, e alla fine tutto torna.
C’è – infine – un particolare che ho deciso di non dirvi, anche se è decisivo nelle storie del Commissario Daquin. Certo, come ogni poliziotto di successo letterario sa cucinare, sedurre e divertire i lettori; che sia, però, anche il personaggio più ambiguo, e nello stesso tempo più virile, mai chiamato a risolvere i casi che gli si presentano, beh, questo è qualcosa che forse solo una scrittrice che non è solo una scrittrice poteva riuscire a realizzare.
Valerio Fiandra
(27 ottobre 2016)