La Gerusalemme illuminata
Chi non ha visto la gioia del Bet haShoevà, in cui si attingeva l’acqua per il culto nel Santuario di Gerusalemme, non può dire di aver visto la vera gioia in tutta la sua vita. All’uscita del primo giorno di Sukkot (la festa delle capanne), i sacerdoti e i leviti scendevano nel cortile delle donne e approntavano una grande struttura per fare stare tutta la gente, uomini e donne, senza commistione. C’erano dei candelabri d’oro, con quattro calici d’oro in cima a essi, e quattro scale per ognuno dei calici. Quattro giovani kohanim tenevano in mano anfore contenenti centoventi log di olio e riempivano i calici dei candelabri; con i vestiti consumati dei kohanim si facevano degli stoppini che venivano accesi nei candelabri. E non c’era cortile di Gerusalemme che non risplendesse della luce del Bet haShoevà. I chasidim e gli uomini di azione ballavano davanti alla gente tenendo in mano delle torce accese e intonavano canti e pronunciavano parole di lode. I leviti suonavano le cetre, le arpe, i piatti e le trombe e innumerevoli strumenti musicali sui quindici gradini del Santuario che scendevano dal cortile di Israele al cortile delle donne, in corrispondenza dei quindici Shir haMa’alot (salmi dei gradini). Quando al sorgere dell’alba si udiva il canto del gallo, si suonava lo Shofar [… ]. Hanno insegnato i nostri Maestri: Chi non ha visto Gerusalemme nel suo splendore, non ha mai visto una città bella. Chi non ha visto il Santuario di Gerusalemme, non ha mai visto un edificio magnifico. (Adattato dal Talmud Bavlì, Sukkà 50b-51b).
Gianfranco Di Segni, Collegio rabbinico italiano, Pagine Ebraiche Novembre 2016
(27 ottobre 2016)