Capanna di pace
In apparenza le risoluzioni dell’Unesco e il rituale di Hoshanah Rabbah sono due cose piuttosto diverse; eppure a guardar bene quest’anno avevano un elemento in comune: in entrambi i casi si invocava, con toni accorati e in un linguaggio deciso (e anche un po’ ridondante), la salvezza di un luogo di grande rilevanza per le tre religioni monoteiste. Questo, infatti, è in sostanza il contenuto del testo cantato domenica scorsa durante il terzo giro dei sefarim (almeno, secondo l’uso torinese; confesso di non ricordare se sia lo stesso anche altrove). Girare cantando con i sefarim e con il lulav o approvare risoluzioni non è esattamente la stessa cosa, ma in sostanza il luogo di cui si auspicava l’integrità era lo stesso. Un luogo che può assumere molti nomi diversi, addirittura – nell’inno cantato a Hoshanah Rabbah – uno per ogni lettera dell’alfabeto: la pietra Scetia, luogo di predilezione, l’aia di Aravnà, il Santuario più riposto, il monte Morià, il monte sul quale sei apparso, il Tempio della Tua gloria, città dove David piantò la sua tenda, delizie del Libano, bella contrada su in alto, la città delizia di tutta la terra, corona di bellezza, sede di giustizia, dimora Tua prediletta, sede di quiete, capanna di pace, luogo di pellegrinaggio per le tribù di Israele, angolo prezioso, Sion famosa, Luogo Santissimo, ricamo d’amore, sede della Tua gloria, riparo di difesa.
Nomi molto diversi tra loro, alcuni difficili di decifrare, alcuni legati strettamente alla storia ebraica (del resto stiamo parlando della liturgia ebraica, non di una risoluzione approvata da un organismo internazionale); altri – direi la maggioranza – potrebbero essere agevolmente condivisi da chiunque. Del resto l’uso stesso dell’acrostico alfabetico, ventidue lettere che esprimono l’intera realtà, sembra voler abbracciare tutti i nomi possibili, anche eventualmente quelli usati da altri. Perché non è detto che condividere in poco spazio gli stessi luoghi sacri debba essere necessariamente occasione di tensioni e di ostilità. Anzi, potrebbe essere considerata una benedizione, un valore aggiunto. Perché Gerusalemme possa essere davvero per tutti sede di giustizia e capanna di pace.
Anna Segre
(28 ottobre 2016)