Il grande viaggio
di Mordekhai Cohen
La figura di Mordekhai Ha-Cohen (Tripoli 1856-Bengasi 1929), rabbino tripolino vissuto tra l’Ottocento e il Novecento ha un che di unico, di affascinante, di commovente. Studioso autodidatta ha reso possibile la conservazione di una monumentale raccolta d’informazioni di ogni genere sulla vita della comunità dal passato più antico a quello più recente, sulle sue tradizioni, sugli usi, sui costumi e sui rapporti quotidiani fra ebrei e non ebrei.
Infaticabile viaggiatore, girò in lungo e in largo, Rav Mordekhai Cohen attraversa in lungo e in largo il Gebel Nefusa, la Cirenaica e le comunità ebraiche dell’interno. Raccoglie con amore informazioni sulla loro soria recente e più antica. Si inventa archeologo, etnologo ed etnografo. Talora le sue ricostruzioni storiche sono ingenue e romantiche. Ma non è qui il punto essenziale. Ciò che colpisce è la freschezza del modo in cui raccoglie i dati, la libertà interiore con cui può discutere di darwinismo e di qualunque altro tema.
Mordekhai, promettente studente di Torah, deve guadagnarsi da vivere molto presto. Rimasta vedova, quando il figlio è piccolo, la madre di Mordekhai Cohen rifiuta l’aiuto che le spetterebbe dal Consolato italiano.
Mordekhai insegna la Torah, ma quanto guadagna non basta per portare a casa quanto serve alla famiglia. Lo studio e l’insegnamento della Torah nella tradizione ebraica sono un atto d’amore mistico. Come è scritto: Esmach meeshet ne’urekha, (“rallegrati della donna della tua giovinezza”)…
Per vivere Mordekhai diventa venditore ambulante, gira in lungo e in largo il Gebel Nefusa. Attraversa ripetutamente il deserto entrando in contatto con le comunità più isolate dell’interno e visita quelle della costa. Accompagna nei suoi viaggi il prof. Schlouz, autorevole studioso dell’epoca, di cui diventa una fonte importante. Col tempo apprende l’arte di aggiustare gli orologi, s’interessa di astronomia, botanica e medicina, astronomia e magia. Nel 1920 entra a far parte della Corte rabbinica di Bengasi, carica che ricoprì sino alla morte nel 1929. Grazie alla sua carica, ha l’opportunità di consultare le cronache accatastate negli archivi della comunità, che trascrive con amore. Molto di quel materiale si è conservato grazie a lui.
Mordekhai Cohen parla l’italiano, conosce bene l’arabo e scrive in ebraico con una prosa moderna in cui sono forti gli echi delle trasformazioni cui stava andando incontro la lingua grazie all’opera del movimento sionista, cui aderisce come tutti i rabbini di Libia.
Il crescente interesse per l’opera di Mordekhai Cohen, cui Harvey Goldberg ha dedicato alla fine degli anni Settanta uno studio importante (The Book of Mordechai. A study of the Jews of Lybia, Institute for the Study of Human Issues Philadelphia, 1980), rappresenta un salto di qualità nello studio e nella conoscenza della storia e della cultura degli ebrei nel Nord Africa.
Un interesse non solo politico per una lettura del conflitto mediorientale, che vada oltre i luoghi comuni da cui è circondato. Ma anche un interesse culturale, religioso rituale, che aiuta a capire meglio la realtà complessa dell’Africa settentrionale e del Vicino Oriente.
Dell’opera di Mordekhai Cohen (Igghid Mordekhai) è disponibile in italiano solo una parte dedicata ai costumi e alle usanze pubblicata nel 1930 che ho personalmente riproposto due decenni fa con Giuntina (M. Cohen, I costumi degli ebrei di Libia, 1930, ristampa, Giuntina, 1994. A cura di Martino Mario Moreno, con un saggio di David Meghnagi.) La speranza è che in occasione del cinquantenario dell’arrivo degli ebrei di Libia in Italia, l’opera completa di Mordekhai Cohen (Igghid Mordekhai), disponibile in ebraico, possa essere tradotta per intero in italiano.
David Meghnagi, Università di Roma Tre
(1 novembre 2016)