Luzzati, arte per l’incontro

img_6577Il soffitto della sala convegni del Centro Bibliografico “Tullia Zevi” dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, opera di Lele Luzzati, il grande artista e scenografo genovese scomparso nel 2007, fu presentata al pubblico nel 1990, contestualmente all’inaugurazione dello spazio bibliotecario, archivistico e di documentazione fortemente voluto dall’allora presidentessa Zevi. 
L’opera di Luzzati, che raffigura i dodici segni zodiacali, sarà al centro dell’intervento della storica dell’arte Valentina Filice, relatrice nella giornata di studio “Immagini vietate o permesse? Arte ed ebraismo a Roma”, che si svolgerà domani proprio al Centro Bibliografico.
Un simposio ideato e coordinato da Raffaella Di Castro (il via ai lavori alle 9), che nasce con l’idea di parlare di arte ebraica, con particolare focus sui beni culturali ebraici in Italia, che vanno dai musei alle Sinagoghe, dalle catacombe ebraiche alle ketubboth, dai reperti archeologici agli arredi sacri, dall’architettura all’arte in Memoria. 



Dottoressa Filice, qual è la storia del soffitto del Centro Bibliografico?

La collocazione del soffitto dipinto da Emanuele Luzzati segna la conclusione dei lavori di adeguamento dei locali acquistati dall’UCEI sul Lungotevere Sanzio nel 1981, e aperti al pubblico ufficialmente il 3 maggio del 1990 con rito solenne del Rabbino Capo Toaff. 
Il progetto fu fortemente voluto da Tullia Zevi, che volle fondare la prima grande “Biblioteca Nazionale dell’Ebraismo Italiano” facendone “un luogo di incontro” e “uno strumento di studio per tutti coloro i quali hanno un interesse verso la vita delle minoranze ebraiche nel nostro Paese”, come dichiarò durante un’intervista.
Un polo d’interesse internazionale, in cui recuperare anche una parte della storia delle popolazioni dell’Est Europa all’indomani della caduta del muro di Berlino, e per opporre il dialogo interculturale e interreligioso all’ondata di antisemitismo che negli anni ‘80 imperversava in tutto il continente.
L’affidamento dei lavori a Luzzati, avviati nel gennaio del 1989, era dunque mirato a valorizzare lo spazio di rappresentanza di questa istituzione con un’opera altamente simbolica e identificativa della comunità internazionale a cui si rivolgeva.

Perché fu scelto il tema dei segni zodiacali? 


Nella sua opera Luzzati rappresenta i dodici simboli dello Zodiaco, collegandosi probabilmente a testi sacri come l’Haggadah, il libro di Bereshith e lo Yalkuth Shimonì, riuscendo a riassumere attraverso il sapiente uso del colore e pochi ma efficaci segni grafici il ciclo dei mesi, delle stagioni e la trasformazione degli elementi.
È possibile ipotizzare che la scelta di un soggetto di tipo laico, vista l’esposizione in uno spazio pubblico, fosse segno della ricerca di un linguaggio condiviso da religioni e culture diverse. Una simile iniziativa troverebbe riscontro peraltro con la linea politica dell’Unione e della Comunità romana del tempo, che nel 1986 ufficializzava l’apertura del dialogo tra cattolici ed ebrei accogliendo Karol Wojtyla nel Tempio Maggiore.
Allo stesso tempo, la scelta dello zodiaco è inequivocabilmente un brillante espediente dell’artista per rievocare quelle che sono le più antiche testimonianze iconografiche nella storia dell’arte ebraica, inserendosi così all’interno di una lunga tradizione artistica.

Lei nel suo intervento racconterà che l’opera è una sorta di viaggio tra le epoche e gli stili dell’arte ebraica, da Oriente a Occidente, dall’antichità ai giorni nostri. Ce ne parla?

In quest’opera Luzzati conduce una dotta discussione iconografica e iconologica sulla raffigurazione dei segni zodiacali, confrontandosi con alcuni capisaldi dell’arte ebraica, come i mosaici pavimentali di Hammath presso Tiberiade del IV sec. E.V., di Beth Alpha del VI sec. E.V., ma anche le pitture delle sinagoghe in legno dell’Est Europa del XVII e XVIII secolo.
Da un punto di vista stilistico sono molteplici i riferimenti all’arte greco-romana, bizantina, mesopotamica ed egizia, che oltretutto pongono l’artista in linea di continuità con quella ricerca iniziata già con l’eclettismo alla fine del XIX secolo, che guardava proprio allo stile neobabilonese e neoegizio per la formazione di uno stile ebraico ufficiale, di cui troviamo un esempio nel vicino Tempio Maggiore di Roma. 
Il suo linguaggio primitivo, privo di prospettiva, caratterizzato da proporzioni gerarchiche, isocefalia e fissità dei gesti, è il risultato di una fitta trama intessuta di reminescenze remote e contemporanee frutto di una cultura vastissima e stratificata. Il repertorio artistico, letterario, teatrale e cinematografico da cui Luzzati attinge è sconfinato. Egli si confronta con il dadaismo, il surrealismo, il cubismo, le avanguardie sovietiche, i balletti russi… I suoi maestri sono Picasso, Rouault, Klee e in particolare Chagall, con il quale condivide la sensibilità espressiva e la semplicità popolare della cultura yiddish, chassidica, dei lubki e della fola russa.
Nonostante le innumerevoli opere di arte ebraica realizzate dall’artista, il soffitto dipinto per il Centro Bibliografico rappresenta l’apice di una sconfinata produzione, che colloca Emanuele Luzzati tra i massimi esponenti dell’arte del novecento e dell’arte ebraica contemporanea.

Marco Di Porto

(2 novembre 2016)