Firenze, tra letteratura e testimonianza L’eredità da lasciare ai giovani
“I giovani vengono prima di tutto. E non voglio siano numerosi solo tra il pubblico. Per me è importantissimo, a ogni nuova iniziativa, partire dal coinvolgimento dei giovani studiosi, dei ricercatori di valore che nonostante quello che normalmente parrebbe ci sono, esistono, lavorano e pubblicano. Sono tanti e sono validissimi, ma per vari motivi che mi è difficile comprendere e accettare raramente vengono valorizzati come meriterebbero”. Così la professoressa Anna Dolfi, responsabile scientifico e organizzatrice del convegno internazionale di studi “Gli intellettuali/scrittori ebrei e il dovere della testimonianza” in corso in queste ore a Firenze spiega la notevolissima presenza di giovani in una sala che sia ieri, nella giornata di apertura, che oggi si presenta affollatissima. Sono studenti del suo corso di laurea, certamente, ma anche moltissimi altri ragazzi coinvolti direttamente: “abbiamo oramai una rete consolidata, e fra colleghi diffondiamo sempre con grande forza le notizie relative a iniziative portatrici di valori non solo accademici. Quelli presenti in sala, così, sono in maggioranza universitari, ma anche molti ragazzi che vediamo oramai frequentemente ai convegni, che partecipano, che si interessano, si informano. E che poi tornano e fanno domande, si pongono problemi. Usano la testa e il cuore. E sanno studiare”.
Il tema del convegno organizzato, come riportato anche nel titolo “Per Giorgio Bassani, ‘Di là dal cuore'”, per la professoressa Dolfi parte da una domanda precisa: “Mi sono spesso chiesta se e quanto le prese di posizione degli intellettuali ebrei fossero da collegare a una comune e forte istanza etica, di natura personale e profonda, e del tutto trasversale sia alle storie personali che alle discipline. Penso per esempio a Cesare Segre e al suo saggio intitolato ‘Etica e letteratura’ che chiude il volume dei Meridiano dedicatogli. Si tratta di un autore dall’ebraicità mai esplicitata con evidenza, che però ha spiegato come per lui ‘fare il filologo significa dare voce ai morti’. in questo genere di dichiarazioni fatico a non leggere un senso profondo, che trova radici in una concezione della conoscenza e della vita che non è solo di Segre”. Come ha spiegato anche in apertura di convegno, protagonisti dei tre giorni fiorentini – che hanno il patrocinio del Comune di Firenze, dell’Università degli Studi, del Dipartimento di Lingue, Letterature e Studi interculturali, del Gabinetto Scientifico-letterario G. P. Vieusseux, del Comitato Nazionale per le Celebrazioni della nascita di Giorgio Bassani della Fondazione Giorgio Bassani e del Centro Studi Bassaniani – sono scrittori e intellettuali uniti, nella diversità e lontananza di singole storie individuali, solo dal loro far parte, spesso unicamente per nascita, di un ‘gruppo’ perseguitato”, e così è nata l’idea di rendere omaggio a Bassani nell’anno del centenario interrogandosi sulle opere e sulle dichiarazioni di editori e scrittori, saggisti e critici, storici e filosofi, musicisti e artisti figurativi di varie nazionalità in maniera da documentare non solo il significato di una difficile appartenenza, ma i segni lasciati dalla cultura e dalla tragica storia del Novecento sulle loro scelte, nonché le modalità di condizionamento e attuazione di quello che Dolfi chiama “il dovere morale della testimonianza. E proprio in apertura ha sottolineato come il programma sia stato costruito su quattro lemmi, di non facile definizione: dovere, testimonianza, intellettuali, ebraismo, hanno limiti mobili: “Potremmo chiederci dove inizi e dove finisca il ‘dovere’, che rapporto intrattenga con il ‘bisogno’ e la ‘necessità, cosa lo leghi agli affetti e al lavoro del lutto; come si esplica e in che limiti sia possibile la testimonianza; cosa significhi e chi/cosa comprenda il termine di intellettuale; come, dove e in che termini si possa parlare di ebraismo, partendo dalla spitzeriana consapevolezza dei condizionamenti semantici insiti nell’evoluzione delle parole”. Lemmi potenzialmente controversi che spesso compaiono a coppie a proposito della riflessione sulla Shoah. Va ricordato allora il confronto tra Amery e Levi sull’ambito di appartenenza dell’intellettuale, destinato ad avere un rilievo tutt’altro che indifferente sul nichilismo e sulla scelta finale dell’autore di Intellettuale a Auschwitz. Primo Levi – ha ricordato la professoressa – ampliando il bacino di utenza e contenimento degli intellettuali al di fuori del campo umanistico o filosofico e allontanando da sé la tentazione del risentimento, avrebbe cercato di unire anche con l’ausilio della sua formazione scientifica il bisogno/dovere di testimoniare con quello di capire. Il raccontare vuole essere anche testimonianza ricavandone forzatamente uno spostamento di ruoli, e Levi ha sostenuto con forza che “alla parte del giudice preferisco quella del testimone: ho da portare una testimonianza”..
Oggi, nella grande sala di Palazzo Medici Riccardi la sessione mattutina, “Scrivere la memoria” è stata aperta da Piero Capelli, Università di Venezia, con “Della memoria nella tradizione ebraica rabbinica”, seguito dalla relazione di Liliana Giacoponi, Università di Firenze, con “Le ‘Melodie ebraiche’ di Heinrich Heine” e di Claudia Sonino, Università di Pavia, su “Das Märchen der Technick e Der Verlorene Sohn: due racconti di Alfred Döblin”. Mattia Di Taranto, ricercatore dell’Università di Firenze, ha presentato al pubblico una relazione intitolata “Memoria della Shoah e scrittura in Nelly Sachs”, seguito da Francesco M. Cataluccio con “Vicino a dove? Memoria ebraica e memoria famigliare in Bruno Schulz” e Ernestina Pellegrini, Università di Firenze, con “La ‘riserva ebraica di Loria” per chiudere con Elisa Lo Monaco su “I conflitti della memoria”. Il pomeriggio, dedicato a “Un’identità, nonostante tutto”, sarà aperto da Clelia Martignoni, Università di Pavia, su “Cesare Segre e la coscienza dell’ebraismo”, per proseguire con Valeria Dei, della stessa università, su “Irène Némirovsky: un’interessante ambiguità” e con Enza Biagini, Università di Firenze, su “Scrivere l’inimmaginabile: L’espèce humaine di Robert Antelme”. Benedetta Bronzini, Università di Firenze, parlerà di “La Shoah nell’opera di Heiner Müller” mentre Giorgia Delvecchio, Università di Parma, porterà una relazione su “L’inevitabile ebraicità di Mauricio Rosencof” e Paolo Orvieto, Università di Firenze, su “L’ebraismo sui generis di Amos Oz”. A chiudere la giornata è previsto l’intervento di Ayse Saracgil, Università di Firenze, su “Gli scrittori ebrei e il nazionalismo turco-repubblicano”.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(8 novembre 2016)