Trasformazioni pericolose

tobia zeviNei giorni scorsi abbiamo letto due notizie sugli ebrei della Diaspora: secondo la prima, molti correligionari inglesi di origine germanica, in seguito alla Brexit, avrebbero iniziato le pratiche per ottenere la cittadinanza tedesca; d’altra parte sembra che parecchi ebrei americani, tradizionalmente democratici, abbiano intenzione di votare quest’oggi per Donald Trump. I due fatti andranno naturalmente verificati con attenzione alla luce dei dati, sebbene l’ambasciata tedesca a Londra abbia effettivamente confermato un’impennata nelle richieste.
Da queste ipotesi possiamo trarre alcune indicazioni utili a comprendere la natura della presenza ebraica nelle società occidentali e nel mondo: innanzitutto noi ebrei facciamo parte delle società in cui viviamo, pur mantenendo un forte legame con la tradizione religiosa e con lo Stato d’Israele. Ciò significa che partecipiamo dei sentimenti, delle paure, delle tendenze, spesso (ma non sempre) mostrando una sensibilità più acuta – frutto di una storia drammatica – contro i rigurgiti di intolleranza, razzismo, imbarbarimento civile e violenza. Non siamo statici, siamo anzi di frequente pronti a cambiare strada, a cogliere nuove opportunità e orizzonti. La tradizionale erranza del nostro popolo assume oggi la sfumatura della resilienza, categoria molto apprezzata dai sociologi e che possiamo tradurre in una notevole capacità di adattamento e trasformazione.
L’eventuale ritorno degli ebrei di origine tedesca in Germania – favorita da una legge che garantisce accoglienza e indennizzi agli eredi dei perseguitati dal nazismo – ci indica inoltre un’autonomia di giudizio: perché oggi non dovrebbero trasferirsi in Germania gli ebrei inglesi, in un paese che mostra vitalità economica, solidità democratica nella gestione dei profughi siriani, consapevolezza storica diffusa dopo decenni di lavoro sulla memoria della Shoah?
Infine, la scelta di Trump da parte di una percentuale di ebrei americani ci mostra un rischio che corriamo e che dobbiamo cercare di sventare. Sentirsi vulnerabili come minoranza e come popolo storicamente perseguitato non deve impedirci di osservare le trasformazioni sociali con lungimiranza e sguardo lontano: se ad esempio l’immigrazione massiccia ci preoccupa legittimamente per la difficile integrazione e il pericolo del radicalismo, pensiamo davvero che noi ebrei, sul lungo periodo, potremmo sentirci più sicuri in un mondo pieno di muri, ghetti e diffidenza verso il prossimo?

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas Twitter @tobiazevi

(8 novembre 2016)