Bassani, una centralità ritrovata
Ebraicità e ferraresità come strutture narrative portanti. La geografia della memoria e il valore della testimonianza. Il Giardino dei Finzi-Contini, i luoghi della fantasia e quelli del cuore. Una comparazione con gli scritti e il pensiero di Paul Celan.
La terza giornata del prestigioso convegno fiorentino dedicato a Giorgio Bassani e ai grandi scrittori ebrei del Novecento impegnati sul tema della Memoria è forse la più intima di tutte. Anche grazie a due relazioni d’eccezione, pronunciate oggi al Gabinetto Vieusseux, dalla compagna Portia Prebys e dalla figlia Paola Bassani Pacht.
“Scrivere di là dal cuore”, il titolo dell’importante relazione con cui la promotrice del convegno, la professoressa Anna Dolfi, apre la giornata. Molti e qualificati gli interventi della mattinata. Tra i relatori anche Jean-Jacques Marchand (Université de Lausanne), Gianni Venturi (Università di Firenze), Eleonora Conti (Université de Paris IV-Sorbonne), Guillaume Surin (Université de Saint-Etienne), Pietro Benzoni (Università di Pavia), Francesca Nencioni (Università di Firenze).
Bassani torna dunque protagonista, in una stagione di grandi appuntamenti a lui dedicati che porteranno nei prossimi giorni molti studiosi e accademici anche a Roma e Ferrara. Tra i protagonisti Alberto Cavaglion, oggi intervenuto a Firenze con una relazione su Parodia sacra e scrittura in Se questo è un uomo di Primo Levi.
“Sul conto di Bassani – ha raccontato lo studioso al Corriere Fiorentino, che ha dedicato una pagina di approfondimento a questo convegno e al rapporto dell’intellettuale ferrarese con la Toscana – tanti hanno dovuto recitare un doveroso mea culpa. Perché negli anni ‘60 fu deriso da gran parte dei suoi colleghi: troppo dolciastro, dicevano i detrattori. E invece la verità è che Bassani del fascismo mussoliniano ha capito molte cose prima di altri. A partire dalle sue ambivalenze, dalla sua ambiguità, dalla formidabile capacità di raccogliere consenso tra le masse. Pochi in quegli anni hanno avuto la sua lucidità analitica”.
Relativamente alla figura di Levi, Cavaglion ha invece osservato: “Nella ormai sterminata bibliografia su Primo Levi salta agli occhi la carenza di studi intorno al tema del sacro. Eppure, nella letteratura ebraico-italiana, testi come Se questo è un uomo, in cui una preghiera sia collocata in posizione di tale preminenza non esistono. C’è da supporre che gli interpreti si siano ritratti, e si ritraggano, spaventati davanti all’idea che l’agnostico Levi, l’illuminista chimico scrutatore della materia, si sia servito della preghiera e non solo della ragione per decifrare il Caos”.
A causa di questo timore, ha proseguito Cavaglion, “accade oggi che si sappia di quali brani dei Salmi e di Deuteronomio sia composta la poesia posta in epigrafie a Se questo è un uomo – e di quale mirabile intarsio di versetti si tratti – ma s’ignori la ragione per cui il viaggio negli inferi inizi con la parodia di una preghiera – sui generis fin che si vuole e finalizzata a scopi che certo liturgici non sono, ma pur sempre modellata su una professione di fede, anzi ‘la’ professione per antonomasia dell’ebraismo”.
Lo Shemà, ha spiegato Cavaglion, inizia infatti con le parole “Ascolta, Israele, il Signore Dio nostro è unico” e termina con l’esortazione a trasmettere ai figli la nozione fondamentale dell’unicità di Dio. Dunque, una parodia sacra? “Levi amava la scrittura parodica. Nelle Storie naturali troviamo un racconto, Il versificatore, in cui una macchina prodigiosa riproduce a catena versi di poeti appartenenti a diverse epoche, ma Il sistema periodico è più ambizioso. Non si ferma alla fantascienza – ha sottolineato lo studioso – mira più in alto, molto più in alto.
Ad intervenire, nella sessione conclusiva del convegno presieduta da Mario Domenichelli (Università di Firenze) e dedicata al grande scrittore e intellettuale piemontese, anche Elisabetta Bacchereti (Università di Firenze) su “Memoria e racconto dell’olocausto nel graphic novel contemporaneo”, Oleksandra Rekut (Università di Firenze) su “(D)ali-a, (d)ali-a!: l’amore per le lingue e le esperienze dei Lager”, Jacob Golomb (Università Ebraica di Gerusalemme) su “Primo Levi: The Matter of a Life and Suicide”, Anna Baldini (Università per stranieri di Siena) su “Testimone di civiltà scomparse: Primo Levi e il mondo ebraico-orientale”, Federico Pianzola (Università di Milano Bicocca) su “L’etica della finzione: Primo Levi e i miti”, Marco Marchi (Università di Firenze) su “Primo Levi e la testimonianza della poesia” e Almut Seyberth (Deutsch-Französisches Jugendwerk di Parigi) su Levi e la ‘zona grigia’ come premessa poetologica”.
(9 novembre 2016)