Periscopio – Coordinate mancanti
Ogni persona, arrivata all’età adulta, si crea, o dovrebbe crearsi, delle coordinate culturali, dei valori di riferimento, dei principi morali a cui ispirarsi nelle varie scelte contingenti. Certo, non tutti lo fanno, e molta gente preferisce vivere alla giornata, prendendo, di volta in volta, le scelte che, al momento, paiono più convenienti, o, magari, accodandosi al carro del vincitore. Ma questo modello non mi piace, e ritengo, ingenuamente, che un uomo abbia bisogno di una coscienza, e che questa coscienza non possa essere una scatola vuota, ma debba essere riempita di qualche ideale in cui credere, qualcosa per cui valga la pena spendersi, impegnarsi, e che non possa cambiare di giorno in giorno.
Così, tanti anni fa, mi sono costruito il mio piccolo pacchetto valoriale, che mi porto sempre dietro, come un piccolo pocket-book. Che c’è scritto dentro? Oh, niente di interessante, tutte cose vecchie, banali, assolutamente passate di moda: democrazia, libertà, rispetto delle opinioni altrui, soccorso ai deboli, rifiuto della violenza, del razzismo ecc. ecc. Che noia.
Tra i vari valori demodé, come ho appena detto, c’è anche l’antirazzismo, che ritengo essere una cosa di estrema importanza. E, tra le varie vittime del razzismo, alle quali riservare quindi il nostro aiuto e la nostra solidarietà, ci sono, ovviamente, e in una posizione assolutamente di prima fila, gli afroamericani, eredi di uomini e donne che hanno subito una delle più atroci e disumane ingiustizie della storia: rapiti, schiavizzati e sottoposti a indicibili sofferenze e umiliazioni per soddisfare l’avidità e i capricci del potentissimo uomo bianco, che si riteneva padrone assoluto della terra e di tutte le creature che la popolano. Nessuno potrà mai sapere quanto si sia sofferto quando i giovani africani venivano strappati alle loro famiglie, trasportati in catene sulle navi dei negrieri, ammassati come bestie nelle stalle dove venivano custoditi, fatti lavorare a frustate nelle piantagioni di Haiti, del Mississipi, della Lousiana, per almeno tre secoli di orrore.
Dopo la guerra di secessione, dopo le due guerre mondiali, dopo la predicazione di Martin Luther King, qualcosa, o molto, per fortuna, è cambiato. L’ascesa alla casa Bianca di un uomo dalla pelle scura è parsa dare al mondo l’idea che, finalmente, una pagina buia si sia chiusa, per sempre. Ma il problema razziale non pare del tutto superato, e gli afroamericani denunciano ripetuti abusi, ai loro danni, da parte delle forze dell’ordine. Una denuncia che, com’è noto, ha dato alimento a una diffusa e rabbiosa protesta contro l’ordine costituito, guidata dall’eloquente motto “Black lives matter”, anche le vite dei neri contano.
Non sono adeguatamente documentato, e non sono in grado di dire in che misura tali abusi siano effettivamente avvenuti e, soprattutto, se e in che misura essi possano essere effettivamente ascritti a un pregiudizio di tipo razziale, ossia a una particolare “mano dura” della polizia americana contro gli afroamericani. Ma, certamente, l’immenso debito morale che l’America ha ancora contro i discendenti degli schiavi mi porta istintivamente a provare solidarietà verso le loro rivendicazioni. Se anche un solo nero fosse stato colpito per il colore della sua pelle, ciò apparirebbe doppiamente odioso e insopportabile.
Non ci sarebbe bisogno, in un Paese civile, di dover ribadire che “black lives matter”, perché, semplicemente, “all lives matter”, tutte le vite sono importanti, e il fatto che qualcuno, indipendentemente dalle ragioni, senta il bisogno di dirlo non è un bel segnale per la democrazia americana. Fatto sta che da questa protesta è nata un’organizzazione, un movimento, che ha presentato al governo americano un’ampia e articolata piattaforma di rivendicazioni, alcune delle quali, però, sembrano andare molto lontano dal desiderio di tutelare l’incolumità degli afroamericani, e di migliorare le loro condizioni di vita. Leggiamo, infatti, che il movimento “Black Lives Matter” ha fatto appello contro l’“apartheid di Israele”, ha dichiarato appoggio al programma BDS e condannato la politica estera degli Stati Uniti, che “giustificano e portano avanti la guerra globale al terrorismo attraverso l’alleanza con Israele e sono complici del genocidio in atto contro il popolo palestinese”; Israele sarebbe “uno stato di apartheid con oltre 50 leggi che sanciscono discriminazioni contro il popolo palestinese”, le terre e le case palestinesi sono “regolarmente spianate per far posto agli insediamenti illegali israeliani” e i soldati israeliani “arrestano e detengono regolarmente palestinesi anche di soli quattro anni senza alcun processo”. Pertanto il governo americano viene invitato a recidere immediatamente ogni legame con “lo stato razzista e genocida di Israele”.
Complimenti, uomini di “Black lives matter”. Nessuno potrà certo accusarvi di scarsa chiarezza. In risposta alle vostre carinerie, dico solo tre cose, dopo aver dato una ripassatina al mio “pocket -book” antirazzista:
– La mia indignazione per i soprusi subiti dai vostri antenati non solo resta intatta, ma si rafforza, se possibile, ancora di più.
– Nel ribadire la mia solidarietà di fondo, in tutto il mondo, alle forze dell’ordine, la cui semplice esistenza ci ricorda che non vige la sola legge della giungla, ribadisco anche la mia netta condanna per ogni eventuale abuso da esse compiuto, in America o altrove, verso chiunque.
– Dalla condanna della violenza non possono certo essere salvate le vostre farneticanti e ignobili parole, che di violenza, odio e menzogna trasudano da ogni singola lettera. Parole nere come la pece, così come quelle di Martin Luther King erano luminose come il sole. Voi non volete difendere le “black lives”, ma volete ben altro. E’ inutile che fingiate di lamentarvi dei vostri ex padroni bianchi: non siete migliori di loro, da loro avete imparato il peggio, e lo avete imparato molto bene.
Francesco Lucrezi, storico
(9 novembre 2016)