Ticketless – Aratori del vulcano
La letteratura, si suol dire, interpreta il presente. Non mi riferisco, naturalmente, al terremoto immaginario uscito dalla fantasia di Safran Foer per indagare il rapporto Diaspora-Israele, ma al terremoto orribilmente vero che ha colpito il centro Italia. L’idea della fragilità dell’identità, non solo ebraica, nel suo ultimo romanzo ha stimolato Safran Foer e avrebbe dovuto stimolare gli scrittori italiani, così come a suo tempo stimolò Leopardi nel Dialogo tra la Natura e un Islandese. Il guaio è che da noi le dimensioni spaventose delle calamità che colpiscono il Belpaese oltrepassano sempre la fantasia, per altro modesta, degli scrittori (o dei registi) italiani contemporanei soliti rincorrere amenità e le solite frivolezze.
Né tanto meno mi riferisco alla penosa gaffe del ministro israeliano a proposito del sisma che ha colpito gli italiani. Del ministro non mi curo, degli effetti del sisma sulla condizione umana sì; e vorrei riportare questa settimana una frase di cui mi servo spesso per definire la condizione ebraica. Non avrei mai immaginato che quella frase un giorno avrebbe potuto essere utilizzata, per confortare quanti, tra Umbria e Marche, non vogliono allontanarsi dalle loro terre, dalle loro aziende agricole e dai loro animali.
Giacomo Debenedetti, in Otto ebrei, racconta che un giorno il grande critico e storico dell’arte Bernarde Berenson si poneva l’eterno problema: perché gli ebrei rimangono ebrei malgrado il ciclico ritorno delle persecuzioni? E rispondeva con un ricordo siciliano: “Trovandosi a visitare le pendici dell’Etna, ne ammirava la feracità da Terra promessa. Qualcuno però gli disse che periodicamente la lava scende a incenerire quei campi. ‘E perché allora li coltivate’ domandò ai contadini. ‘Perché quando i tempi tornano buoni, voscenza, così buoni sono, che ci ripagano di qualunque malanno’”. Questo, commentava Berenson, spiega per analogia con gli aratori del vulcano la tenacia degli ebrei nel sopravvivere. Questo, aggiungiamo noi, spiega per analogia cln gli aratori del vulcano la tenacia degli umbri e dei marchigiani quando dicono di non volersi allontanare dai loro animali, dalle loro aziende e dalle loro terre. Con animo commosso e turbato non possiamo non rivolgere a chi -a Norcia e Amatrice -in queste ore ha subito la feracità della propria Terra Promessa il consiglio degli aratori del vulcano. Rimanete lì, non muovetevi. Aspettate che i tempi tornino buoni e ripaghino di qualunque malanno.
Alberto Cavaglion
(9 novembre 2016)