Leonard Cohen (1934 – 2016)

Dopo averci preannunciato, con l’uscita del suo ultimo disco You want it darker di essere “pronto a morire” con la speranza che non sia “una cosa troppo spiacevole”. Dopo averci avvertito, con un tocco di humor nero, che stava solo scherzando, perché lui ha “sempre avuto la tendenza a drammatizzare” e rassicurato di avere tutta l’ebraica intenzione “di vivere fino a 120 anni”, il grande cantautore e poeta Leonard Cohen ci ha lasciato nella notte all’età di 82 anni.
Mentre attorno gli Stati Uniti, paese adottivo del canadese Cohen, affrontano rumorosamente il passaggio di consegne alla Casa Bianca, il celebre cantautore se ne è andato in un riservato silenzio. “Mio padre è morto serenamente, nella sua casa di Los Angeles con la consapevolezza di aver portato a termine quello che sentiva essere uno dei suoi più grandi dischi”, ha dichiarato alla rivista Rolling Stone il figlio Adam, riferendosi a You want it darker. “Ha scritto fino all’ultimo momento, con il marchio unico del suo umorismo”, le parole di Adam.
Per oltre 50 anni le canzoni di Leonard Cohen – da Suzanne a Sisters of Mercy fino a capolavori come Everybody Knows, I’m Your Man e The Future, senza dimenticare la celebre Hallelujah – hanno accompagnato diverse generazioni, segnando in particolare quelle cresciute a cavallo dagli anni Sessanta e Settanta. Come scrive Rolling Stone, “Cohen era l’eminenza grigia di un piccolo pantheon di cantautori estremamente influenti che emersero tra gli anni Sessanta e Settanta. Solo Bob Dylan esercitò un’influenza più profonda sulla sua generazione, e forse solo Paul Simon e la sua connazionale canadese Joni Mitchell lo eguagliarono come poeti della canzone”. “Cohen era un improbabile e riluttante pop star, se mai lo è stato realmente – il congedo del New York Times – Aveva 33 anni quando uscì il suo primo disco nel 1967 (Songs of Leonard Cohen). Cantava con una voce da baritono sempre più roca. Suonava accordi semplici sulla sua chitarra acustica o su una tastiera a buon mercato. E ha mantenuto un’immagine privata, a volte ascetica, in contrasto con gli eccessi dionisiaci associati al rock ‘n’ roll”.
Nato a Montreal nel 1934, Cohen era cresciuto in una famiglia ebraica della middle-class. Sua madre era figlia di uno studioso di Talmud, rav Solomon Klonitzki-Kline, mentre il nonno paterno, Lyon Cohen, era uno dei leader della comunità ebraica canadese. Nathan Cohen, suo padre, lavorava nel commercio di abbigliamento e morì quando il figlio aveva 9 anni. In alcune interviste Cohen spiega di aver avuto un’infanzia segnata dal messianismo, crescendo con la forte sensazione che avrebbe fatto qualcosa di speciale. Nel libro a lui dedicato, ‘I’m Your Man,’ a firma di Sylvie Simmons, si dice che il cantautore fosse “ben consapevole di essere un Kohen, un rappresentante (nell’ebraismo) della casta sacerdotale”. In realtà il suo rapporto con l’ebraismo non fu mai tradizionale, e la sua passione per il sacro e il profano – al centro di molte canzoni – lo portò a seguire diverse strade: si spinse fino a far parte della setta di Scientology, per poi passare al buddismo. Ma l’educazione ebraica, rimase al centro del suo spirito di cantautore progressista e anticonformista: “sono cresciuto in un ambiente molto conservatore, in una famiglia osservante, quindi (l’ebraismo) non è una cosa da cui mi sono mai sentito estraneo. Ma non è qualcosa che devo pubblicizzare oppure ostentare, ma è un elemento essenziale per la mia stessa esistenza. Quei valori che la mia famiglia mi ha dato – i valori della Torah – sono quelli che ispirano la mia vita. Così non mi sono mai allontanato molto da quelle influenze”.

d.r.

(Foto di Nicolas Maeterlinck Afp/GettyImages)