Luna
E voi, avete alzato gli occhi al cielo, la notte del 13 di Heshvan, cercando tra le nubi colei che era più luminosa di sempre, ammantata da una corona iridescente?
Crateri, monti e valli erano così nitidi che avresti potuto quasi toccarli, e magari trovare con l’Astolfo ariosteo il senno dagli uomini smarrito, lassù ove giungono tutte le cose perse dagli umani sulla terra, e vedervi “Altri fiumi, altri laghi, altre campagne / sono là su, che non son qui tra noi; / altri piani, altre valli, altre montagne, / c’han le cittadi, hanno i castelli suoi…” (Orlando furioso XXXIV, 72:1-4).
La luna, terra splendente e luminosa, già visitata da Luciano nelle Aληθῆ διηγήματα (Storia vera I,9) dopo aver passato le colonne d’Ercole, in un viaggio allegro e magico ben diverso dal “folle volo” del dantesco Ulisse (Inferno XXVI, 125) il quale, con l’oltrepassare Gibilterra nel vano tentativo di imporre la razionalità della conoscenza umana sulla legge divina, sfidò i limiti imposti da D-o, finché il mare non si richiuse sull’eroe ed i suoi sventurati compagni. Nel cielo della luna si può navigare senza smarrirsi solo se non si è “in piccioletta barca”, ovvero privi dell’adeguata competenza teologica (Paradiso II, 1). Forse per questo la luna è sempre stata per l’umanità bellissima ed insieme pericolosa, incantevole ma foriera di pazzia, tanto da poterci rendere lunatici od in preda al τῆς σελήνης νόσος, il male della luna ovvero l’epilessia?
Luna σελήνη, già per i greci splendente (da σέλας splendore, luce), silenziosa, vergine, intatta, candida nel leopardiano Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, e ancora graziosa e diletta (Alla luna), “spicchio di luce”(Inno alla luna), “benigna / delle notti reina”e “dal vezzoso raggio” (Canto XVI, La vita solitaria), che ha il potere di dare e togliere: “scende la luna; e si scolora il mondo” (Canto XXXIII, Il tramonto della luna).
Testimone impassibile, per il poeta, di una natura matrigna e crudele, ma anche confidente amica, a noi viene tramandata con il nome di לבנה, la bianca (Shir HaShirim 6,10) ma anche come ירח iareach, da ירח, ierach, mese lunare, e poiché il mese lunare inizia con la luna nuova, il termine “luna nuova” acquisì il significato di “mese”, come testimoniano i termini (חודש hodesh, mese ed חדש, hadash, nuovo: prima dell’uscita dall’Egitto infatti, il primo giorno del mese di Nissan, il Signore disse a Moshe ed Aharon che questo chodesh, inteso come nuova luna ma anche mese, sarebbe stato per loro il capo dei mesi (Shemot 12, 2), ed i maestri hanno dedotto dalla locuzione “per voi” la responsabilità, accollata al Sinedrio, di individuare e consacrare il novilunio, determinante per fissare il calendario – tanto che le persecuzioni antiebraiche previdero spesso tra le prime misure il divieto di fissare il calendario, e quindi di osservare le feste, e testimoniare sulla nuova luna era così importante da costituire eccezione al divieto di trasgredire lo Shabbat (“per la loro dichiarazione [delle feste] puoi trasgredire lo Shabbàt, ma non lo puoi trasgredire per la loro osservanza” (Talmud Babilonese, Rosh HaShanà 21b/1).
E, sebbene uno scapigliato come Lucini la dichiari “luogo comune delli sfaccendati”, in fondo mi piace pensarla come la pirandelliana “chiarità d’argento” che da millenni ci incanta, perché persino uno come Ciàula ha il diritto di scoprire la luna.
Sara Valentina Di Palma
(17 novembre 2016)